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Giovedì, 25 Apr 2024

pietro perrinoNei miei precedenti interventi [1, 2, 3] ho evidenziato l’importanza della biodiversità, del tipo di agricoltura, dell’agroecosistema e dell’ambiente per prevenire e/o fronteggiare la patologia del Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO) nel Salento.

Tra i fattori ambientali responsabili ci sono le pratiche agronomiche ad alto impatto e l’uso dei cosiddetti fitofarmaci (insetticidi, pesticidi, erbicidi o diserbanti) contro i patogeni (batteri, funghi, virus, insetti) e le erbe che crescono negli oliveti, chiamate erroneamente “infestanti” o “malerbe”. Erroneamente perché in realtà si tratta di piante spontanee utili. Piante che svolgono un ruolo importante per l’agroecosistema e quindi per la buona salute degli oliveti.

Purtroppo, nelle forme d’agricoltura industriale, applicate anche su piccoli appezzamenti, questo ruolo positivo delle erbe spontanee è sconosciuto o non è sufficientemente considerato e quindi gli agricoltori cercano di distruggerle con i cosiddetti erbicidi, convinti di dare un vantaggio alle loro piante coltivate, nel nostro caso all’olivo. Uno di questi erbicidi è il glifosato o glifosate, (in inglese glyphosate), commercialmente meglio conosciuto con il nome di Roundup o Roundup Ready se usato in combinazione con le piante transgeniche o piante geneticamente modificate (OGM).

Scoperta e meccanismo d’azione del glifosato

Si tratta di un erbicida sintetizzato per la prima volta nel 1950 dal chimico svizzero Henry Martin, un chimico della Cilag (Chemische Industrie-Labor AG), ma non fu oggetto di pubblicazione. Fu poi riscoperto nel 1970 da John E. Franz, un chimico della Monsanto, che, per questa scoperta, nel 1987, ha ricevuto la National Medal of Technology e nel 1990 la medaglia Perkin per la Chimica Applicata (5).

Da un punto di vista chimico il glifosato è un aminofosforico della glicina (N-(fosfonometil) glicina, C3H8NO5P). La molecola del glifosato è un inibitore dell’enzima (una proteina) 3-fosfoshikimato 1-carbossiviniltransferasi (EPSPS). Un enzima virtualmente prodotto da tutte le piante, trasportato nei cloroplasti, dove avviene la fotosintesi clorofilliana. È quindi un enzima essenziale per il metabolismo della pianta e per la biosintesi (cioè creazione) di metaboliti aromatici, tra cui aminoacidi essenziali (fenilalanina, triptofano, tirosina), promotori di crescita (acido indolacetico: IAA) e prodotti che difendono le piante (fitoalexine). Tutte molecole necessarie per la vita della pianta. Molecole che la pianta non sarà in grado di produrre se l’enzima EPSPS sarà inibito dalla molecola del glifosato (14).

Per queste sue caratteristiche, il glifosato è un diserbante totale, sistemico non selettivo (tossico per tutte le piante), che viene distribuito in post emergenza (cioè sulle piante da distruggere). A differenza di altri erbicidi, viene assorbito per via fogliare, ma successivamente trasloca in ogni altra parte della pianta, prevalentemente per via floematica (dove scorre la linfa elaborata o in generale discendente). Ciò permette al glifosato di devitalizzare anche gli organi ipogei delle erbe, come rizomi, fittoni, ecc., che in nessun altro modo potrebbero essere distrutti (6).

L'assorbimento del glifosato avviene in 5-6 ore e il disseccamento della vegetazione è visibile in genere dopo 10-12 giorni. Il glifosato è un forte chelante (legante), il che significa che immobilizza i micronutrienti critici, rendendoli indisponibili per la pianta. Ne deriva che l'efficienza nutrizionale delle piante trattate ne viene profondamente compromessa (6, 14).

Il glifosato e gli organismi geneticamente modificati (OGM)

In natura ci sono piante, ma soprattutto microrganismi, che hanno un enzima EPSPS resistente o insensibile o tollerante alla molecola del glifosato (le due molecole: enzima e glifosato non legano). Tra i microrganismi c’è un batterio, l’Agrobacterium tumefaciens, che ha questo tipo di enzima (CP4 EPSPS) e che la Monsanto, all’inizio degli anni Novanta, ha utilizzato per ottenere piante transgeniche (7), organismi geneticamente modificati (OGM) resistenti al glifosato. Il fine era ed è di ottenere, per esempio, mais transgenico resistente all’erbicida.

È per questo che dalla seconda metà degli anni Novanta, cioè con l’inizio della produzione e diffusione degli OGM, l’uso del glifosato in agricoltura ha conosciuto un grande impulso. Cioè sono stati gli OGM a determinare il grande successo commerciale del glifosato (detto anche Roundup Ready), tanto da farlo diventare l'erbicida più diffuso al mondo. Ed è anche uno degli erbicidi più usati in Italia, per diserbare aree non coltivate (p.e. bordi stradali) o per diserbare frutteti, vigneti, oliveti, ecc.. In Italia, le statistiche sul consumo di questo erbicida sono quasi inesistenti.

Persistenza nel suolo del glifosato e del suo metabolita AMPA

Il glifosato è moderatamente persistente nel suolo, con un tempo di dimezzamento (DT) variabile fra 4 e 180 giorni (8). E’ quindi considerato un potenziale inquinante delle acque sotterranee (PAN pesticide Database). Il suo metabolita AMPA (acido amino metil fosfonico) è dotato di un’attività biologica di potenza paragonabile a quella del prodotto di provenienza (8, 9).

Pertanto, gli effetti tossici su organismi bersaglio del glifosato si protraggono nel tempo. Come dimostrano studi in campo, che indicano un intervallo per il tempo di dimezzamento compreso tra 76-240 giorni, l’AMPA è più persistente del glifosato (8, 9). In acqua la degradazione fotolitica dipende dall’acidità: il DT50 (Tempo di Dimezzamento) è di 33 giorni a pH 5, mentre è di 77 giorni a pH 9. Per quanto riguarda l’idrolisi acquosa risulta stabile a 25 °C in acque con pH da 5 a 9 (10).

In Italia, il glifosato, monitorato solo in Lombardia, è stato trovato nel 68,2% dei punti delle acque superficiali e il suo metabolita AMPA nel 92% dei punti, quasi sempre in concentrazioni superiori ai limiti (10). Glifosato e AMPA sono le molecole che determinano il maggior numero di superamenti degli Standard di Qualità Ambientale (SQA) nelle acque superficiali: AMPA in 70 punti, corrispondenti al 79,5% del totale e glifosato in 37 punti, 42% del totale (10).

Tutto ciò accade anche perché il glifosato assorbito dalle erbe che si vogliono distruggere è traslocato nelle zone in crescita delle radici e degli steli della pianta, quindi trasudato nella rizosfera (suolo che circonda le radici), tanto da infettare la comunità di microrganismi del suolo e le colture che seguiranno. Questo meccanismo è ancora più efficiente se il glifosato è assorbito dalle piante transgeniche, le quali essendo tolleranti al glifosato hanno più tempo per traslocarlo e trasudarlo nel suolo (11).

Il glifosato predispone le piante a malattie e tossine

Recentemente, due ricercatori, Don Huber e Johal, del Dipartimento di Botanica e Patologia Vegetale, dell’Università di Purdue (USA), dichiarano che l’uso su vasta scala di glifosato negli USA può "aumentare significativamente la severità di diverse malattie delle piante, compromettere la difesa delle piante a patogeni e malattie e immobilizzare i nutrienti del suolo, rendendoli non disponibili per la pianta” (12, 13, 14).

Come se ciò non bastasse, il glifosato stimola la crescita dei funghi e aumenta la virulenza di patogeni come il Fusarium, e “può avere conseguenze serie sulla sostenibilità della produzione di una vasta gamma di colture suscettibili”. I due ricercatori avvertono che “Ignorare gli effetti collaterali su piante non-target (che non sono nell’obiettivo del trattamento) potenzialmente dannosi di qualunque sostanza chimica, specialmente se usata pesantemente come il glifosato, può avere conseguenze atroci per l’agricoltura, come per esempio quelle di rendere i suoli sterili, le colture improduttive e le piante meno nutritive".

In una recente intervista, maggio 2010 (13, 14), Huber ha dichiarato che ha fatto ricerche sul glifosato per 20 anni e a un certo punto cominciò a osservare che c’erano problemi, cioè iniziò a notare un costante incremento di malattie fungine del grano se l’anno precedente era stato usato il glifosato come diserbante. Egli trovò che l’erbicida riduceva nelle piante il manganese, che è essenziale per le reazioni di difesa contro malattie e stress ambientale. Il glifosato può immobilizzare i nutrienti della pianta, come manganese (Mn), rame (Cu), ferro (Fe), potassio (K), magnesio (Mg), calcio (Ca) e zinco (Zn). Di conseguenza, questi microelementi non sono più disponibili dal punto di vista nutritivo o funzionale. Il glifosato indebolisce completamente la pianta, rendendola suscettibile ai funghi patogeni del suolo. Huber dichiarò: "Questa è una delle ragioni per cui osserviamo un aumento delle malattie delle piante".

Negli ultimi 15–18 anni c'è stato un aumento generale del numero di malattie delle piante. Quattro funghi primari del suolo, Fusarium, Phythium, Rhizoctonia, e Phytophthora, sono diventati più attivi con l'uso di glifosato; contemporaneamente sono aumentate le malattie causate da questi funghi, come l’avvizzimento della spiga di mais, il marciume radicale della soia o ancora il marciume del colletto nella barbabietola da zucchero. Il Fusarium causa dell’avvizzimento del mais, che attacca i cereali, è un fungo che produce una micotossina che potrebbe entrare nella catena alimentare (14).

Huber ha anche dichiarato che “Ci sono più di 40 malattie associate all’uso del glifosato e il numero continua a crescere mano a mano che la gente ne riconosce l’associazione”.

Quando gli fu chiesto se il glifosato è "benigno per l’ambiente" così come ritengono coloro che propongono l’uso di glifosato, Huber rispose "Assolutamente no. Si tratta di una nozione completamente errata. Il glifosato è solo il più importante fattore agronomico che predispone alcune piante sia alle malattie sia alle tossine. Queste tossine possono produrre un impatto serio sulla salute degli animali e dell’uomo”.

"Le tossine prodotte possono infettare le radici e la spiga o pannocchia della pianta e possono essere trasferite al resto della pianta." Huber spiegò. "Il livello delle tossine nella paglia può essere alto abbastanza da rendere il bestiame, come mucche e maiali, sterile."

Un modo in cui il glifosato può influenzare la salute umana è che "i micronutrienti, come Mn, Cu, K, Fe, Mg, Ca e Zn, essenziali per la vita dell’uomo, possono tutti essere resi meno disponibili dal glifosato”; in questo modo le colture transgeniche tolleranti al glifosato come le altre piante non tolleranti ma comunque esposte al diserbante contengono meno minerali nutritivi. "Stiamo osservando una minore qualità nutrizionale (dei nostri alimenti)".

"Il gene (del Roundup Ready, cioè del glifosato) ridurrà l’efficienza dei micronutrienti fino al 50% per Zn e Mn ... Ciò potrebbe anche spiegare la riduzione di produzione (riportata per la soia transgenica tollerante al glifosato)."

Huber e Johal raccomandano di usare quanto meno glifosato possibile, ma ridurre la dose di glifosato significa non riuscire a controllare le malerbe, soprattutto perché esse stanno diventando estremamente resistenti al diserbante (14).

Il glifosato (sistema Roundup Ready) altera tutta la biologia del suolo

Robert Kremer, un microbiologo presso l'USDA-ARS (Servizio di Ricerca Agricola del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Unititi d’America) e professore nella Divisione di Scienze Vegetali all'Università del Missouri, nel 1997 iniziò a studiare su come il sistema Roundup Ready (il diserbante Roundup e colture tolleranti al glifosato) cambierebbe il livello di nematodi (vermi microscopici cilindrici) nella soia. Il suo gruppo di ricerca analizzando le radici e i microrganismi che colonizzano il sistema radicale osservò che c’era un impatto del glifosato. C'era un problema di funghi radicali che sembrava incoraggiare la sindrome della morte improvvisa (SDS) (14).

Infatti, nel Rapporto sull’Agricoltura Biologica e non OGM (21), Kremer affermava che il sistema (Roundup Ready) sta “alterando la biologia dell’intero suolo. "Stiamo osservando differenze nei batteri delle radici delle piante e cambiamenti nella disponibilità dei nutrienti. Molti studi mostrano che il glifosato può avere effetti tossici su (alcuni) microrganismi e può favorirne altri a germinare le loro spore e colonizzare i sistemi radicali. Altri ricercatori stanno mostrando che il glifosato può immobilizzare il manganese, un micronutriente essenziale delle piante".

Il glifosato è tossico per i batteri benefici, come il Rizobium che fissa l’azoto, ma aumenta l'incidenza di patogeni come il Fusarium. “Anche alcune varietà di Roundup Ready senza l’uso di glifosato, tendono ad essere più suscettibili al Fusarium," forse si tratta di un effetto non desiderato della modificazione genetica.

Kremer afferma: “Osserviamo l'aumento di questi funghi nel sistema Roundup Ready della soia e del mais". Il lavoro del gruppo di ricerca, pubblicato nell'European Journal of Agronomy (11) non ricevette sufficiente pubblicità negli Stati Uniti. Kremer (21) affermò: "stavo lavorando con l’USDA-ARS per pubblicare un comunicato stampa su questi studi. Ho cercato in tutti i modi di parlare con gli amministratori, ma li ho trovati riluttanti a divulgare le notizie. Il loro modo di pensare è che se i coltivatori stanno usando questa tecnologia (sistema Roundup Ready), l’USDA non vuole comunicare informazioni che sono negative sulla tecnologia. Questo è quello che avviene. Penso che il comunicato stampa stia dormendo sulla scrivania di qualcuno" (14, 21).

Il glifosato sequestra i nutrienti delle piante

Chimicamente, il glifosato è un forte chelante (legatore) di ioni di metallo, rendendo questi nutrienti essenziali non disponibili nel suolo e nella pianta. In contrasto a molti chelanti che legano ioni di metallo specifici, il glifosato è un chelante a largo spettro che lega macro e micronutrienti, come Ca, Mg, Cu, Fe, Mn, Ni e Zn. È proprio ciò che lo rende un diserbante a largo spettro e un potente agente antimicrobico, poiché la funzione di numerosi enzimi dipende da cofattori metallo specifici (15, 22).

L'enzima EPSPS, come altri 25 enzimi vegetali, richiede Mn come co-fattore e il glifosato riduce la disponibilità di Mn per tutti loro. Inoltre, il diserbante legandosi anche agli altri ioni di metallo, interferisce con una lunga serie di funzioni biologiche, indebolendo le piante, che così risultano più suscettibili alle malattie e meno produttive. Questo vale sia per le colture tolleranti al glifosato sia quelle non tolleranti. Così, le colture tolleranti al glifosato sono più deboli, anche se non sono uccise dall'azione chelante del glifosato e ciò spiega almeno in parte la riduzione di produzione delle colture transgeniche (14, 22).

Il glifosato trasudato dalle radici delle colture transgeniche o dalle malerbe morenti che sono state spruzzate, è rapidamente assorbito dalle altre piante o è immobilizzato nel suolo dai legami con ioni, così che questi non sono più disponibili per le piante. Il glifosato può rimanere nel suolo per un periodo molto lungo, che è quanto basta per degradarsi in sostanze tossiche sia per le colture transgeniche sia per le colture convenzionali. Ciò vuol dire che le piante coltivate successivamente sullo stesso suolo saranno ancora esposte ad alti livelli di diserbante, e gli effetti si accumuleranno mano a mano che altro diserbante sarà spruzzato (15, 14, 16, 22 ).

Il glifosato riduce la fissazione dell’azoto

Il glifosato riduce la fissazione dell’azoto nel terreno attraverso molti meccanismi. I batteri fissatori di azoto, come il simbionte della soia, Bradyrhizobioum japonicum, possiedono un EPSPS sensibile al glifosato, e quindi non riescono a crescere quando esposti al glifosato. Questo può essere un altro fattore significativo che determina riduzione di crescita e produzione di soia transgenica, tollerante al glifosato (14).

L’azoto fissazione è influenzata anche indirettamente attraverso la fisiologia della pianta ospite. Il glifosato inibisce la formazione del fattore di crescita acido indolacetico (IAA) nella soia transgenica (tollerante al glifosato), che comporta una minore formazione di noduli da parte del simbionte. Il glifosato forma molti metaboliti, come acido amminometilfosfonico (AMPA), sarcosina (la molecola che può causare tumore alla prostata e che è infatti usata come marcatore per diagnosticare il tumore) e glicina. I sintomi di clorosi della soia tollerante all’erbicida in seguito alle applicazioni di glifosato sono stati attribuiti all'accumulazione di AMPA (17).

Il Nichelio (Ni) è coinvolto nella fissazione di azoto (N) attraverso l'attività idrogenasi richiesta dal Ni che ricicla idrogeno per fornire energia necessaria alla fissazione dell’N. Quindi la mancanza di Ni nei suoli dovuta alla chelazione del glifosato può limitare l'attività idrogenasi dei batteri simbionti. Quando l’idrogenasi è inibita, dal 30 al 50% dell'energia fornita alla nitrogenasi può essere persa come H2, riducendo notevolmente l'efficienza della fissazione di N.

All’Università di Maringa, nello Stato del Parana, Brasile, furono eseguite delle prove, in suolo argilloso e sabbioso con semi di linee isogeniche normali e linee tolleranti al glifosato di alcune varietà di soia trattati con fungicida (17). Le prove mostrarono che il glifosato riduceva la fissazione di N indipendente dal tipo di suolo e cultivar.

Il peso secco degli steli e delle radici era in entrambi i casi ridotto dalle applicazioni di glifosato. Il danno alla clorofilla da AMPA potrebbe ridurre la crescita degli steli. Le piante trattate con glifosato mostrano sintomi di clorosi (ingiallimento) confrontate con le piante non trattate con glifosato. Ovviamente, meno clorofilla significa meno fotosintesi, meno produttività, ecc. (14).

Il glifosato rende le colture più suscettibili alle malattie riducendo la disponibilità di Mn

I diserbanti sono conosciuti per la loro capacità di aumentare specifiche malattie delle piante fin dagli anni Settanta. Il glifosato inibisce l’enzima EPSPS direttamente e indirettamente, attraverso la chelazione del Mn (vedi sopra). Le Piante con un metabolismo dello shikimato (metabolismo tipico dei vegetali e assente negli animali) compromesso sono più predisposte a diversi patogeni vegetali. Il glifosato è effettivamente brevettato come sinergizzante di micoerbicidi per migliorare la virulenza e patogenicità dei funghi usati per il controllo biologico delle malerbe. L'attività sinergizzante del glifosato per il controllo delle malerbe nel predisporre le piante a essere attaccati da organismi infettivi è stata osservata per molte malattie e l'uso estensivo del glifosato in agricoltura è un fattore significativo nell’aumento della severità o “riemergenza” di malattie una volta gestite o controllate con efficienza (12).

Gli effetti tossici del glifosato sono cumulativi e diventano peggiori con l’uso continuato. Perciò la deficienza di Mn ora è evidente in aree che prima erano Mn sufficienti, in parte per lo stesso accumulo di glifosato nel suolo e in parte perché il glifosato avvelena e depaupera le popolazioni di organismi del suolo Mn-riducenti. Il Mn ridotto è assorbito dalle piante, mentre il Mn ossidato non lo è; per cui l'equilibrio di microrganismi Mn-riducenti nel suolo è cruciale ai fini della disponibilità di Mn per le piante. La presenza del gene per la tolleranza al glifosato riduce anche l’assorbimento di Mn e l’efficienza fisiologica (tramite l'accumulazione di glifosato nella pianta), e in concomitanza aumenta la severità della malattia (14).

La virulenza di alcuni patogeni, come i funghi Gaeumannomyces, Magnaporthe Phymatotrichum e Corynespora, e il batterio Streptomyces, comporta l'ossidazione di Mn al sito d’infezione (da Mn2+ a Mn4+) che compromette la resistenza della pianta attraverso il sentiero shikimato; ciò perché il Mn ossidato è di nessuna utilità per gli enzimi che nel sentiero usano Mn come co-fattore.

Circa 40 malattie sono conosciute per la loro caratteristica di aumentare la loro capacità di diffusione durante le esecuzioni di programmi di controllo delle malerbe con glifosato e l'elenco di tali malattie sta crescendo (12, 14), colpendo un ampio spettro di specie: melo, banano, orzo, fagiolo, canola, agrumi, cotone, vite, melone, soia, barbabietola da zucchero, canna da zucchero, pomodoro e grano. L’olivo è assente perché non presente nelle aree oggetto d’indagine.

La Corynespora, un fungo che determina il marciume delle radici della soia, prima considerata una malattia minore, può determinare un danno economico nella soia RR (Roundup Ready). Questo fungo del marciume radicale è più severo quando il glifosato è applicato alla soia alla presenza di erbacce anche se queste non sono l’ospite del patogeno fungino. La ragione è che le erbacce servono a traslocare e rilasciare più glifosato nella rizosfera, a impoverire le popolazioni di organismi Mn-riducenti e a diminuire la disponibilità di Mn per le piante, necessario per sostenere la loro difesa. Tutto ciò agisce sinergicamente per lievitare l'aumento di Corynespora e la sua abilità a provocare la malattia.

Complessivamente abbiamo assistito a un incremento di tutte le malattie dei cereali, dopo aver bruciato le erbacce con glifosato prima del trapianto. Ciò è risaputo da più di 15 anni. La malattia aumenta anche quando il glifosato è applicato alle soie RR l'anno precedente, confrontato con l’uso di un diserbante non glifosato. Di nuovo, ciò è dovuto alla ridotta disponibilità di Mn; tutti i fattori che riducono la disponibilità di Mn, come il pH basso del suolo, uso spropositato di fertilizzanti di N, aumentano la gravità della malattia. I microrganismi proposti per il controllo biologico della malattia, come il batterio Bacillus cereus e il fungo Trichoderma konigii, sono tutti forti riduttori di Mn, aumentando la disponibilità di Mn nella rizosfera. In contrasto, l’aggiunta di ossidanti di Mn aumenta tutte le malattie.

Così, oltre alla sua azione di chelazione che rende il Mn non disponibile, il glifosato avvelena gli organismi del suolo Mn-riducenti e fissatori di N, per cui la disponibilità di Mn e N, per le colture potrebbe essere marcatamente compromessa.
L’aumento del marciume alla radice, corona, e piede delle piante di cereali in seguito all’applicazione di glifosato può derivare dagli effetti sinergici di una resistenza ridotta a causa della deficienza di Mn, l'inibizione della crescita della radice dovuto all’accumulo di glifosato all’apice della radice, un aumento di organismi Mn-ossidanti e una diminuzione di organismi Mn-riducenti nella comunità dei microrganismi del suolo (14).

Il glifosato aumenta le malattie di Fusarium e i patogeni di Fusarium nel suolo

Le malattie causate dal fungo Fusarium con l'uso estensivo di glifosato sono aumentate (12, 19). Per esempio, l’uso di glifosato predispone i pomodori al marciume del colletto e della radice da Fusarium. I coltivatori di cotone in Australia e a Occidente degli USA hanno assistito a un ritorno di Fusariosi (ingiallimento e appassimento della pianta) con l'introduzione del cotone Roundup Ready (tollerante al glifosato). L’avvizzimento della spiga dei cereali da Fusarium e altre Fusariosi aumentano in seguito ai trattamenti con glifosato. L’avvizzimento della spiga e le micotossine prodotte da funghi occasionali ora sono comuni anche in aree più fredde, dove erano più rare prima dell’uso estensivo di glifosato.

L'area di Palouse di Washington, Idaho e Oregon negli USA ha avuto una lunga storia per pisello, lenticchia e produzione di grano su terreni di profondo loess (accumulo non stratificato di piccoli granelli di argilla e limo trasportati dal vento), una caratteristica di quella zona. Comunque, le produzioni di pisello e lenticchia sono lentamente diminuite a causa di una riduzione di fissazione simbiotica di azoto (N) e un aumento di malattie da Fusarium dovuti all'uso estensivo di glifosato per la produzione di grano con la pratica della non aratura (questo non significa che la non aratura o permacoltura sia una pratica sbagliata; è sbagliato l’uso dell’erbicida). Ora la produzione di pisello e lenticchia in alcune aziende è antieconomica e la produzione si sta rapidamente trasferendo da Palouse al Montana, dove l’uso del glifosato era stato più limitato.

Una nuova malattia da Fusarium è apparsa sulla canola (una varietà di colza: Brassica napus) causata da F. oxysporum e F. avenaceum, ha drasticamente ridotto la produzione nei suoli ricchi e poveri di Alberta e Saskatchewan in Canada fin dal 2000.

La sindrome di morte improvvisa (SDS) di soia raggiunse "proporzioni epidemiche" nell’America Settentrionale e Meridionale verso la fine degli anni Novanta (18). La sindrome rimane ancora molto estesa nelle regioni che coltivano soia negli USA, Argentina e Brasile, ed è causata da due specie distinte: F. viruliforme in nord America e F. tucumaniae in America Meridionale. Il maggior uso di glifosato fu collegato con la SDS, specialmente negli anni più piovosi (23). Per essere più corretti, dovremmo dire che la causa non sono i funghi, ma l’erbicida.

Le ricerche dei primi anni Ottanta rivelarono che l'efficacia dei diserbanti di glifosato è largamente dovuta alla colonizzazione delle radici delle piante infettate da patogeni del suolo (piuttosto che all'inibizione della sintesi di amino acidi aromatici come si era pensato in un primo momento). I due patogeni più importanti a questo riguardo erano i funghi Pythium e Fusarium, entrambi onnipresenti nei suoli.

Robert Kremer, un microbiologo dell'USDA e la sua equipe di ricerca hanno condotto studi nel Missouri dal 1997 al 2007 per stimare gli effetti del glifosato sulla colonizzazione delle radici di soia e mais transgenici per la tolleranza al glifosato sulle popolazioni del fungo Fusarium insieme a batteri della rizosfera del suolo (11). Trovarono che le radici del mais e soie transgeniche trattate con glifosato furono pesantemente colonizzate da Fusarium quando confrontate con colture transgeniche e convenzionali non trattate con glifosato. Le loro scoperte suggeriscono che il glifosato trasudato dalle radici della pianta può anche servire come alimento per i funghi e stimolare la germinazione delle spore di Fusarium, e ciò spiega perché i Fusarium dominarono la comunità fungina della rizosfera dopo una lunga esposizione al glifosato.

Un aumento significativo di Fusarium fu scoperto in sole due settimane dopo il trattamento con glifosato a dosi raccomandate, ed era da due a cinque volte più alto nella soia transgenica trattata con glifosato che nella soia transgenica e soia convenzionale non trattate. Il mais transgenico (tollerante al glifosato) trattato con glifosato aveva un livello d’infestazione di Fusarium da tre a dieci volte più alto rispetto a quello osservato quando il diserbante usato era l’atrazina.

Un altro studio basato su indagini condotte su colture in campo ed esperimenti su larga scala in Saskatchewan (Canada), ha individuato nel glifosato il più importante fattore nello sviluppo di malattie delle colture. L'avvizzimento della spiga (head blight) in orzo e grano causati da Fusarium graminearum era particolarmente vasto. Il Fusarium graminearum era il patogeno isolato più comune in uno studio di quattro anni, infettando il 41.3% di grano tenero e duro analizzati.

Secondo lo studio (19) "... la coltivazione di piante suscettibili con un minimo di arature in campi prima trattati con glifosato, risultò nel danno maggiore da FHB (Fusarium Head Blight), cioè da avvizzimento della spiga in anni favorevoli allo sviluppo della malattia.” Ciò è particolarmente preoccupante poiché le colture Roundup (transgeniche) erano state progettate specialmente per i coltivatori per evitare le arature e per questa "convenienza" essi potrebbero ora stare, invece, inavvertitamente a preparare le loro colture all'avvizzimento della spiga (FHB). Personalmente ritengo che la non aratura senza l’uso del glifosato non dovrebbe costituire un problema, anzi la permacoltura senza l’uso di veleni si dimostra sempre più interessante.

Il glifosato uccide i microrganismi benefici e fa crescere i patogeni

Ricerche pubblicate nel 1979 già mostravano che il glifosato assorbito attraverso le foglie dopo il trattamento era trasferito in modo sistemico verso le radici ed eventualmente rilasciato nella rizosfera, dove esso cambia l’intera ecologia del suolo, risultante in un incremento della colonizzazione delle radici (11) da parte di specie patogene, come Fusarium e Phytophtora e come Pythium per le piante di fagiolo.

Inoltre, il glifosato aumenta l’escrezione di substrati delle radici che possono essere metabolizzati selettivamente dai patogeni, come per esempio amino acidi e lo stesso glifosato, incoraggiando così questi patogeni a crescere magnificamente. Nel frattempo, il glifosato e i suoi prodotti di degradazione come l’AMPA (acido amminometilfosfonico) sono velenosi per gli organismi suscettibili, molti dei quali sono benefici.

Gli Pseudomonas sono importanti batteri multifunzionali nella rizosfera che produce numerosi metaboliti secondari, che sopprimono i microrganismi dannosi, come i funghi patogeni, inclusi i Fusarium, e contribuiscono a ridurre (chimicamente) il Mn, mettendolo così a disposizione delle piante. Il glifosato e la soia transgenica (tollerante al glifosato) fanno calare significativamente gli Pseudomonas che sono benefici per la rizosfera, incoraggiando così ulteriormente la crescita dei funghi patogeni, attraverso la soppressione dei loro batteri antagonisti.

L'ossidazione e riduzione del Mn sono eseguite principalmente da batteri della rizosfera, e hanno un maggiore impatto sulla disponibilità di nutrienti e il metabolismo della pianta. Un basso rapporto di Mn ridotto rispetto a Mn ossidato fu trovato per la soia transgenica (tollerante al glifosato) trattata con glifosato quando confrontato con la soia non transgenica, suggerendo una minor disponibilità di Mn per le piante. Insomma, nel sopprimere gli Pseudomonas che riducono (chimicamente) il Mn, il glifosato fa aumentare i batteri che ossidano il Mn, molto probabilmente agrobatteri che tipicamente formano dei biofilms sulla superficie delle radici di soia. Il Mn ossidato è trattenuto dal biofilm. Questi agrobatteri molto probabilmente hanno l’EPSPS insensibile al glifosato, simile all’Agrobacterium tumefaciens che ha fornito l'enzima per ottenere le soie transgeniche tolleranti al glifosato (14).

Il glifosato avvelena il suolo per tutte le piante

Il fatto che il glifosato rilasciato nel terreno dalle radici delle piante morenti (“le infestanti”) è trasferito, attraverso le radici, alle piante viventi non trattate con glifosato, suggerisce che il glifosato applicato o spruzzato sulle infestanti o altri vegetali lungo i sentieri può essere ugualmente trasferito agli alberi (fruttiferi), causando malattie e perdite di prodotto. C’è l’evidenza che tale trasferimento ad altre piante attraverso le radici delle piante morenti è molto più efficace del trattamento diretto nel suolo.

Un esperimento in serra mostrò che il Roundup Ultramax (della Monsanto) spruzzato su una malerba, loglio (Lolium multiflorum), a dosi mortali era molto più efficace nell'inibire la crescita delle piantine di girasole seminate nello stesso suolo che la stessa quantità di diserbante spruzzata o mescolata direttamente nel suolo (23). L'inibizione di crescita fu più pronunciata quando non si fece passare molto tempo tra l’applicazione del diserbante e la semina del girasole. L’effetto d’inibizione di crescita durava da 7 a 21 giorni dall’applicazione del diserbante, sebbene dopo non scompariva completamente. Senza alcun ritardo con la semina di girasole, l’inibizione di crescita fu del 90% quando il diserbante fu applicato all’oglio e del 50-70% quando il diserbante fu applicato al suolo.

L'aumento in shikimato con l’applicazione di glifosato attraverso loglio (l’erbaccia) era da 10 a 100 volte quello del glifosato applicato direttamente al suolo. Il glifosato che avvelenava le piantine di girasole era associato con un danno allo stato nutrizionale del Mn, ancora rilevabile dopo un tempo di attesa massimo di 21giorni. In altre parole, le malerbe amplificano il danno da glifosato.

In molte specie di piante, il glifosato non è prontamente metabolizzato, ma è preferenzialmente traslocato ai giovani e crescenti tessuti di radici e steli, dove si può accumulare a sostanziali concentrazioni.
Colture transgeniche (tolleranti al glifosato) e l’uso di glifosato (indipendentemente dalle colture transgeniche) rappresentano serie minacce alla sostenibilità dell'agricoltura e produzione di alimenti. Questi impatti ecologici su vasta scala di glifosato e sistemi di agricoltura Roundup Ready dovrebbero essere considerati delle vere e proprie minacce alla salute dell’uomo e degli animali che già di per se giustificano un bando globale all’uso del diserbante (24). Sono veramente tanti (14) gli studiosi (veramente ora lo dicono anche tanti malcapitati) che dicono che è ora di fermarsi con il glifosato e le colture tolleranti al glifosato, nonché alle colture geneticamente modificate e di concentrare invece le risorse su sistemi di agricoltura biologica e locale che hanno dimostrato di funzionare in maniera sostenibile e di essere più produttivi dei sistemi industriali, basati sull’uso di prodotti chimici di sintesi (25).

Dati sui pesticidi ed erbicidi in Italia e in Puglia

Secondo l’ultimo rapporto nazionale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) sulla presenza di pesticidi nelle acque pugliesi, nel biennio 2011-2012, sono state rilevate 175 sostanze tossiche, evidenziando un’ampia diffusione della contaminazione, con tendenza all’aumento rispetto agli anni precedenti (8).

I dati relativi alla Puglia sono preoccupanti e al di sopra dei limiti. La Puglia è ai primi posti in Italia per uso di pesticidi. Secondo ARPA Puglia che ha condotto uno studio su dati ISTAT relativi all’anno 2011, la Puglia, con oltre 155 mila quintali di prodotti fitosanitari utilizzati, è quarta in Italia, preceduta da Veneto, Emilia Romagna e Sicilia (26). La stessa cosa succede se si passa a considerare il gruppo degli erbicidi, fungicidi, insetticidi ed acaricidi, relativi al 2008 (27).

Nel 2008, considerando solo gli erbicidi, che ovviamente comprendono il glifosato, sono stati usati 2.237.792 Kg di prodotto, così distribuiti per provincia: 1.198.219 (Foggia), 594.436 (Bari), 149.660 (Taranto), 388.639 (Brindisi), 573.465 (Lecce). Trasformando queste quantità in Kg/ha si ottengono i seguenti dati: 0,92 per Foggia; 1,11 per Bari; 0,37 per Taranto; 2,18 per Brindisi; 4,05 per Lecce. Se non ci sono errori nei dati ISTAT, la provincia di Lecce è quella che utilizza molti più erbicidi, e quindi glifosato, per ettaro rispetto alle altre province (27).

La Puglia, purtroppo, è carente in merito ai controlli sui pesticidi. Come già detto il glifosato è l’erbicida più usato al mondo, perché usato in agricoltura, ma anche per diserbare cigli stradali, ferroviari, giardini, ecc..Il glifosato e il suo metabolita AMPA, oltre che essere ritrovati nel sangue e nelle urine degli agricoltori, sono presenti spesso nelle acque superficiali e sotterranee. Nell’ultimo rapporto ISPRA, il glifosato e l’AMPA sono sati rilevati rispettivamente nel 18% e 47% dei campioni. Purtroppo, in Italia, la ricerca di tali sostanze viene effettuata solo in Lombardia.

L’EFSA, nel 2014, ha riferito che in Europa, il glifosato è presente in circa l’11% dei campioni alimentari. Come al solito, la Monsanto e le altre aziende chimiche del settore hanno reagito definendo la pubblicazione dello IARC spazzatura (26).
La situazione per la Provincia di Lecce peggiora se si passa a considerare il consumo totale di prodotti fitosanitari (fungicidi, insetticidi e acaricidi, erbicidi e vari). Complessivamente, i dati in Kg/ha mostrano la notevole differenza tra la provincia di Lecce e le altre province: 15,17 (LE), 8,09 (BA), 7,55 (FG), 7,32 (BR), 4,41 (TA). È evidente che in provincia di Lecce il consumo dei veleni (fitosanitari) è il doppio o il triplo rispetto alle altre province (27). Ho appreso che recentemente uno dei rappresentati salentini di questi veleni ha ricevuto dalle multinazionali un premio come miglior venditore.

Questi dati sono confermati dal fatto che la Provincia di Lecce è quella in cui l’agricoltura biologica è in media circa il 10% della superficie agricola, contro percentuali più alte delle province di Bari (44%), Foggia ( 25%) e Taranto (13%). Supera solo di poco la provincia di Brindisi (8%). (27).

Altri dati critici sull’agricoltura pugliese

La Puglia, con i suoi 1.200.000 ettari, rappresenta la regione italiana con la più alta incidenza di Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Il 70% di questa superficie è concentrato nelle province di Foggia e Bari. Le criticità del sistema colturale sono state evidenziate dall’ISTAT nelle Indagini sulla struttura e la produzione delle aziende agricole riguardante le successioni e rotazioni colturali, tra cui le pratiche di copertura del suolo e l’uso di prodotti chimici. Ci sono almeno tre indicatori che rappresentano le pressioni più importanti del sistema agricolo (28).

Il primo indicatore è quello delle successioni colturali. L’indicatore mostra l’incidenza di alcune pratiche di successioni colturali sull’insieme della SAU: sia rispetto alla media nazionale (17,1 %), sia rispetto alla media del Mezzogiorno (18,5 %) la Puglia presenta un largo utilizzo della monosuccessione (24,6%). La monosuccessione, cioè la coltivazione di una stessa coltura sullo stesso terreno per due o più anni, con il passare degli anni determina un’instabilità dell’agroecosistema con accumuli di sostanze concimanti o diserbanti (28).

Il secondo indicatore è quello delle pratiche agricole di copertura del suolo. In una concezione d’agricoltura ecocompatibile alcune pratiche di copertura, quali il sovescio, la pacciamatura, e l’inerbimento controllato consentono di evitare alcune lavorazioni del suolo più impattanti e mantenere una migliore regimazione idrica, aumentare le sostanze organiche e controllare l’erosione. Una scarsa diffusione di queste pratiche deve essere considerata una pressione. L’indicatore qui considerato rapporta la superficie interessata da pratiche ecocompatibili alla SAU totale. Per la Puglia l’indice del rapporto è pari al 4,41%, rispetto ad una media italiana del 3,34%. La pratica di copertura del suolo più diffusa in Puglia è rappresentata dall’inerbimento controllato con 23.267 ettari. Il sovescio (in particolare di leguminose) è praticato su una superficie di 22.794 ettari. Rispetto alla superficie investita da queste pratiche in Italia la Puglia ha circa il 13% del totale delle regioni e circa il 34% della superficie totale nel Mezzogiorno.

Il terzo indicatore è quello dei prodotti fitosanitari e fertilizzanti utilizzati in agricoltura. La Puglia è la terza regione italiana per l’utilizzo di fungicidi (9141 tonnellate) e la seconda per uso di insetticidi (4549 tonnellate). Se rapportiamo i dati rispetto alla superficie trattabile, la Puglia è tra le regioni italiane con un maggiore rapporto Kg per ettaro. L’utilizzo di fertilizzanti minerali sul suolo a scopo agricolo può indurre fenomeni di degradazione del suolo, inquinamento delle risorse idriche, nonché processi di eutrofizzazione e perdita della biodiversità negli ecosistemi acquatici. La Puglia è la regione dove il consumo di questi prodotti è di circa il 9% rispetto al dato nazionale e di circa il 30% rispetto a quello del Mezzogiorno (28).

Per far fronte a queste gravi criticità ci sono delle misure, ma a giudicare dai risultati esse sono ancora solo sulla carta.

Aree sensibili alla desertificazione

La Puglia è tra le regioni italiane a maggior rischio di desertificazione (progressiva trasformazione di un terreno fertile in uno desertico). Ad eccezione del Gargano, tutto il territorio risulta sensibile a questo fenomeno. Le aree maggiormente interessate sono il Salento, l’Arco Jonico Tarantino e un’ampia zona del Foggiano, a causa del bilancio idrologico negativo, delle precipitazioni irregolari (concentrate nel periodo autunno-invernale) e dell’alta evapotraspirazione. Gran parte delle Murge baresi e del Tavoliere di Foggia risultano sensibili al fenomeno a causa della vulnerabilità della vegetazione, alle condizioni siccitose, agli incendi ed alla sua bassa resistenza all’erosione. Inoltre il fenomeno dello “spietramento” costituisce un ulteriore fattore di minaccia (28).

Qual è la tendenza? Se si confrontano le mappe elaborate nelle analisi del 2000 e del 2005, con la mappa del 2008 la metodologia di studio (Environmental Sensitive Areas: ESAs) ha prodotto una approfondimento degli indici utilizzati per pervenire alla definizione delle aree di rischio. In particolare, alcuni aspetti, come erosione e fenomeni di dissesto, salinizzazione delle acque ad uso irriguo, compattazione, impermeabilizzazione, contenuto di sostanza organica nei suoli e contaminazione ed inquinamento dei suoli e delle acque sono stati incrociati con caratteristiche legate al clima, caratteristiche dei suoli, caratteristiche morfologiche, distruzione della copertura vegetale a causa di ripetuti incendi boschivi, accentuate condizioni di crisi dell’agricoltura tradizionale, sfruttamento eccessivo delle risorse idriche, eccessiva pressione antropica con conseguente concentrazione di attività non eco-compatibili lungo la fascia costiera (28).

Quest’analisi ha confermato le situazioni di criticità storiche del Salento e ad evidenziare in particolare l’intensificarsi delle condizioni di criticità per le province di Foggia e Brindisi, dovuta all’elevata pressione antropica (in cui gioca un ruolo importante la densità di turisti).

Anche in questo caso ci sono dei regolamenti e delle misure, ma a quanto pare ancora poco o per niente applicate.

La crisi dell’olivo sulla rivista “Le Scienze”

Sulla rivista Le Scienze del mese di luglio 2015 è apparso un articolo dal titotlo “La crisi dell’olivo” con il seguente sottotitolo “Parassiti e malattie, favoriti da incuria e disinformazione, sono i fattori determinanti della crisi produttiva di olio in Italia, un problema che investe equilibri economici e ragioni culturali (cioè dovute all’uomo, ndr)” (29).

Nell’articolo, le autrici A. R. Longo (una scrittrice di scienze) e L. Signorile (una biologa che lavora all’Imperial College di Londra), sottolineano l’importanza dell’ambiente e affermano “I dati a nostra disposizione dipingono un quadro preoccupante, a tratti drammatico, che riguarda l’intero territorio italiano, da nord a sud, con poche “isole felici” (Piemonte e Sardegna ndr) per il momento non ancora toccate dal problema. I numeri parlano di un calo della produzione di olio di oliva del 35 per cento a livello nazionale, con picchi che raggiungono il 45 per cento”.

E ancora “Il caso degli olivi salentini infettati dal batterio Xylella fastidiosa ha ricevuto attenzione mediatica, ma ... La crisi dell’olio è stata causata anche da altri patogeni, condizioni climatiche e una gestione agronomica e fitosanitaria non sempre adeguata”.

Le autrici sottolineano, fra l’altro, che se non si interviene “per affrontare la crisi strutturale dell’olivicoltura, verrà messo a rischio il fatturato di tre miliardi di euro del settore, oltre a un paesaggio di riconosciuto valore culturale e ambientale”.

Già! Ma quali sono le strategie per affrontare la crisi? Questo è il problema! Sicuramente non dicono che bisogna abbattere le piante d’olivo affette da Xylella fastidiosa. Anzi, scrivono che il nemico non è il batterio o solo il batterio, ma i funghi, i fattori culturali (antropici), pratiche agronomiche non adeguate e fattori climatici.

Conclusioni

Il quadro tracciato mostra in modo inequivocabile i danni che il glifosato può provocare alla microflora del terreno e alle piante d’olivo. Esso è sufficiente a comprendere che l’uso di questo disseccante per mantenere “pulito” da “erbacce” l’oliveto è un grande errore che prima o dopo si ripercuote negativamente sulla fertilità del suolo e sulla salute delle piante d’olivo, le quali, inevitabilmente, diventano più vulnerabili ai patogeni, che fanno parte dell’ecosistema e che se hanno l’occasione diventano particolarmente virulenti nei confronti dei loro ospiti preferiti.

In Italia, ma anche altrove, non sembra ci siano dati statistici sulla quantità di glifosato usato in agricoltura e in altri settori. Una carenza gravissima. I dati, quando esistono, sono cumulati e non sappiamo quanto siano affidabili. Tuttavia, che il glifosato sia molto usato non ci sono dubbi. È sufficiente attraversare le campagne e gli oliveti per rendersene conto. Spesso è testimoniato dal numero dei contenitori di glifosato (roundup) abbandonati sui campi o appesi agli alberi.
I dati scientifici sulla presenza della Xylella in Puglia ed in modo particolare nel Salento non mostrano una relazione diretta e convincente tra batterio e Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO). Tuttavia, anche ipotizzando che la Xylella sia una delle cause, il controllo della malattia, prima di pensare all’eradicazione dei patogeni, dovrebbe dare un maggior peso a tutti quei fattori che influenzano la resistenza o vulnerabilità dell’olivo ai patogeni, inclusa eventualmente la Xylella.

Pertanto, la prima cosa da fare per controllare l’espansione del CoDiRO nel Salento è quella di mettere al bando l’uso del glifosato, che tra l’altro risulta nocivo anche alla salute dell’uomo e degli animali. Persino lo IARC (l’Agenzia Internazionale della Ricerca sul Cancro) lo ha classificato come probabile cancerogeno (classe 2A). In realtà, i dati sulla cancerogenicità sono sufficienti per suggerire all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) di considerare il glifosato come cancerogeno certo (classe 1).

I dati relativi a tutti i fitofarmaci o fitosanitari (fungicidi, insetticidi e acaricidi, erbicidi e vari) mostrano che il Salento è l’area in cui il consumo per ettaro è almeno doppio o triplo rispetto alle altre aree. Questo dato da solo potrebbe spiegare perché il CoDiRO è più evidente nel Salento. Nelle aree focolaio, dopo decenni di uso e abuso di fungicidi ed erbicidi, le piante d’olivo sono diventate più vulnerabili e i patogeni più virulenti.
In Puglia dovrebbero essere ridotti la monosuccessione colturale e l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti, in quanto molto più diffusi che nel resto d’Italia. Va ribadito che la Puglia è la terza regione italiana per l’utilizzo di fungicidi e la seconda per uso di insetticidi.

A tutto ciò bisogna aggiungere il rischio di desertificazione. In Puglia le aree maggiormente interessate da questo rischio sono il Salento, l’Arco Jonico Tarantino e un’ampia zona nel Foggiano, causato principalmente dal bilancio idrologico negativo, dalle precipitazioni irregolari (concentrate nel periodo autunno-invernale) e dall’alta evapotraspirazione.

Di fronte a tutti questi fattori che spiegano perché il CoDiRO si è sviluppato e tende a diffondersi nel Salento, l’establishment preme sulle istituzioni e i politici affinché non si cambi modello agricolo e si continui, invece, a lottare contro i patogeni con interventi che serviranno solo a peggiorare la situazione agricola pugliese.

Abbattere le piante d’olivo per ridurre la carica del batterio senza eliminare le vere cause della patologia è una scelta scellerata. È una brutta pagina della storia dell’agricoltura italiana. Forse un giorno sapremo, con più certezze, perché tutto questo accanimento contro la Xylella e non contro i veleni, che rendono sterili i terreni e rendono le piante più vulnerabili ai patogeni.

Bibliografia

*Pietro Perrino, già Direttore dell’IGV-CNR di Bari - e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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