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Lunedì, 29 Apr 2024

Merckel Hollande renziOggi sono tutti a piangere per l'esito del referendum inglese, che ha deciso per l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue, ma nessuno si chiede quali siano le reali cause di quel risultato e, di conseguenza, non v'è alcuno che avanzi proposte politiche atte ad evitare in un futuro più o meno prossimo altri abbandoni.

Altro è in caso della Spagna che, per timore di esser governata da qualche euroscettico, sceglie di tenersi chi l'ha governata, acuendo le differenze sociali e facendo pagare il conto salato della speculazione e della corruzione ai più deboli. In quel caso, prevale l'idea che finché si è in Europa, si è immuni dal rischio di nuove dittature.

Ma quella europea è davvero una democrazia? O piuttosto è, ormai, un'entità governata da una tecnocrazia oligarchica - sempre attenta a tutelare i profitti di pochi a discapito dei più deboli e dell'ambiente - che ha smantellato e finirà di smantellare quel poco di welfare state conquistato dai lavoratori in anni e anni di lotte, che ha prodotto un mercato comune che non produce più beni ma prodotti finanziari?

Appare evidente dai fatti che le cose stanno in quest'ultimo modo e che, quella che per i padri fondatori avrebbe dovuto essere l'Europa dei popoli, una unione fondata sulla solidarietà reciproca e sulla pace, non c'è e, forse, non c'è mai stata, specialmente dopo Maastricht, il Trattato di stabilità del 2012, meglio noto come Fiscal compact, e molti altri accordi iniqui per i più.

Brexit è un processo che ha accelerato, dopo l'imposizione alla Grecia di provvedimenti draconiani (in barba al risultato di una consultazione referendaria e all'esito delle elezioni politiche che avevano confermato il governo Tsipras), o forse, sarebbe meglio dire, dragoniani, dato il nome di uno dei massimi ispiratori di quei provvedimenti.

Provvedimenti imposti ad un popolo che sta ancora pagando il conto salato dell'ultimo conflitto mondiale, senza aver ottenuto alcun risarcimento da chi la occupò.

Un processo avviato, prima ancora, dai provvedimenti imposti all'Italia, a partire da quella legge Fornero, e poi dal Job Act, che ci tengono inchiodati alla crisi.

Altrimenti, come si spiegherebbe il successo dei Farage, Wilders, Le Pen e del nostrano Salvini, nonostante la partecipazione della Lega ai governi Berlusconi e agli scandali che hanno visto coinvolto tutto il suo gruppo dirigente?

Di movimenti nazionalisti ormai è piena l'Europa; si è rischiata persino l'elezione di un presidente filo nazista in Austria e chissà cosa accadrà a breve in Francia, dopo il disastroso governo Hollande.

Il treno verso la disgregazione dell'Europa, insomma, è partito da tempo.

Per qualcuno, la colpa è dell'immigrazione, vista come un'occupazione strisciante del continente che rischia di cancellarne l'identità. Ma non è così, La colpa sta nel cambiamento di fatto delle Carte costituzionali, nate dopo la seconda guerra mondiale dalla lotta ai regimi nazifascisti; sta nello smantellamento di quel sistema di diritti inalienabili al di fuori delle aule parlamentari. A ottobre, per noi, se prevarrà il Sì a una riforma costituzionale voluta dai poteri finanziari, sarà un processo irreversibile.

Diritti che proprio il governo della nazione colpevole della morte di oltre 50 milioni di persone vuole vengano cancellati negli altri paesi, ma non a casa propria, in nome di una cervellotica austerity che ha prodotto, ad oggi, solo danni all'economia del resto d'Europa.

Corsi e ricorsi storici: i leader europei sembrano succubi dell'egemonia tedesca oggi come negli anni '40.

Ma, anche se adesso gli anglosassoni lo dimenticano, non poche colpe hanno avuto in questo processo di dissoluzione anche i leader inglesi, a partire da Margaret Thatcher, passando per Tony Blair, fino a Cameron. Se i primi due sono stati pietre miliari nello smantellamento dello stato sociale, quest'ultimo, con una manovra politicista che credeva vincente, ha voluto il referendum di questi giorni, convinto di vincerlo e, così, di mantenere l'egemonia nel partito conservatore.

E poi, non v'è da dimenticare la prosecuzione strisciante della guerra fredda, che ha consentito l'ingresso dei vecchi paesi del blocco sovietico nell'Ue, con il doppio obiettivo di danneggiare la Russia e, soprattutto, di acquisire manodopera a basso costo; lavoratori disposti a tutto per sopravvivere.

In questi ultimi mesi abbiamo potuto ben vedere lo spirito europeista di quei paesi, governati da partiti xenofobi dell'estrema destra, pronti a prendere i contributi economici dell'Unione ma nient'affatto solidali con chi sta come stavano loro appena qualche anno fa. Un matrimonio d'interesse, dunque, che ha prodotto ben poca integrazione.

Insomma, le politiche dell'Ue in quest'ultimo quarto di secolo hanno consentito, da un lato, la deindustrializzazione e la delocalizzazione delle attività produttive fuori dal continente e dall'altro, la mercificazione della forza lavoro. Lo smantellamento dello stato sociale ha bloccato l'ascensore sociale, ha negato le pari opportunità e, su tutto, l'accesso alla scuola e all'università.

Tutti fattori che hanno pesato sul referendum inglese e che sono alla base dei crescenti movimenti populisti che si stanno moltiplicando in tutto il vecchio continente. Movimenti che trovano un ricco brodo di coltura nella dilagante ignoranza.

Qualcuno, a proposito di Brexit, ha parlato di spaccatura tra vecchi e giovani. No, la spaccatura è tra chi è emarginato e ignorante e chi ha goduto del privilegio di un'istruzione fruibile, grazie al "Progetto Erasmus", in tutte le università europee.

Altro che Europa dei popoli e della solidarietà, il risultato è l'Europa degli egoismi e dell'incultura!

Ma adesso la soluzione, la ricetta per uscire dalla crisi, udite udite, la stanno mettendo a punto Hollande e Renzi, con la cancelliera Merkel!

Ma non basta, a tracciare la road map per la rinascita del percorso di costruzione europeo c'è un documento dell'Alto rappresentante dell'unione, Federica Mogherini, che, in uno scritto di ben 32 pagine, proporrà non il rilancio dell'unione economica e un'inversione nelle politiche economiche comunitarie ma la coordinazione degli eserciti dell'Unione, che potranno aumentare i propri budget di spesa al di fuori del patto di stabilità.

Il 20% delle spese per la difesa saranno in ricerca e nuove tecnologie cosicché vi possa essere la massima interoperabilità delle forze armate nazionali. Vale a dire, non investire in lavoro, salute, cultura, istruzione e ricerca ma in droni e satelliti.

I produttori di armi ringrazieranno, i cittadini europei, certamente, no!

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