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Lunedì, 29 Apr 2024

Gli anni '60 noi li ricordiamo giustamente come anni di grandi cambiamenti e di libertà; per tante ragioni anche di costume.

Ma furono anni in cui la divisione del mondo in blocchi contrapposti continuò ad avere anche i suoi effetti deleteri. Non solo in Oriente con il socialismo autoritario di marca sovietica ma anche in Occidente con la superpotenza americana "democratica" dove i golpe per rovesciare in vari modi più o meno sanguinosi regimi sgraditi furono all'ordine del giorno: Cuba, Indonesia in Asia, Repubblica Dominicana, Argentina (1966) a cui seguirono negli anni '70 Uruguay, Cile, la Grecia in Europa, Argentina (1976) ecc.. Non esiste uno Stato dell'America Latina che non abbia visto, nel corso di due secoli dalla dottrina Monroe, un intervento destabilizzante più o meno marcato degli Stati Uniti.

Ieri, per esempio, si ricordava il golpe organizzato dall'esercito brasiliano nel 1964, con l'appoggio americano, contro João Goulart legittimo presidente eletto. Sullo sfondo l'inizio dell'aggressione e della guerra americana in Vietnam. Il subbuglio nel "cortile di casa", così era definito il centro e sud America dagli statunitensi, fu spietatamente represso dagli americani che si muovevano nelle cose del mondo con la logica di potenza al di là e in contraddizione con la conclamata volontà di difendere il "mondo libero". Stessa identica cosa, per altro, facevano i sovietici in Europa con il pretesto di difendere il socialismo, ma costituendo nei fatti, nonostante tutto, una sponda per il moto di liberazione antimperialista e anticoloniale in Medio Oriente, in Africa, in Asia.

Furono gli anni in cui Kennedy, dopo la musata su Cuba architettata dalla Cia, cercò di organizzare nell'America del centro e del sud "L'Alleanza per il progresso" rendendosi conto che la gigantesca "questione sociale" e la voglia di indipendenza nazionale che da quelle parti ribolliva non poteva essere affrontata solo con la repressione. Ma, arrivati al dunque, a prevalere era sempre il golpe.

Al tempo stesso, Kennedy faceva il suo più bel discorso "pacifista" nel giugno del 1963 all' "Università Americana" - qualche mese prima c'era stata la crisi dei missili a Cuba con il duro confronto con l'Urss in cui si era toccato da vicino lo scontro nucleare far le due superpotenze - dicendo che gli Stati Uniti volevano "Non una Pax Americana imposta al mondo dalle armi da guerra americane". Accettando la sfida della "coesistenza pacifica" fra sistemi sociali diversi che ufficialmente era da molti anni la strategia dell'Urss e dei comunisti nel mondo - in particolare di quelli italiani -, a parte i cinesi. Anche se sia l'Urss che gli Usa vigilavano con durezza sulla tenuta dei rispettivi campi di influenza da cui ai singoli paesi che ne facevano parte era vietato divincolarsi. A novembre, Kennedy veniva assassinato a Dallas, nel Texas. Mentre gli Usa erano scossi dalla lotta per i diritti civili condotta da Martin Luther King contro la discriminazione razziale dei neri afroamericani.

Quando si esaminano i grandi e piccoli movimenti politici colpisce come essi siano intimamente contraddittori e che è in questa concreta contraddittorietà che vanno valutati sia i fatti che le personalità che li vivono e l'interpretano e, soprattutto, la direzione che prendono o sollecitano che sia presa.

Negli anni '60, nonostante tutto, le speranze di pace furono interpretate da tre grandi personalità: Papa Giovanni XXIII, Kennedy e Krusciov. A giugno morì il Papa, a novembre Kennedy, l'anno dopo Krusciov venne estromesso dalla leadership.

Si chiuse così una speranza per la pace con il superamento definitivo della "guerra fredda". Ma non l'aspirazione alla pace da parte dei popoli insieme a quella alla libertà sociale e politica.

Aspirazioni che non sono morte ma costrette a muoversi nel mondo rovesciato di oggi, assai peggiore di quello di allora.

Aldo Pirone
scrittore e editorialista
facebook.com/aldo.pirone.7
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