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Lunedì, 29 Apr 2024

microscopioLa sindrome di Down, conosciuta anche come Trisoma 21, è una delle patologie genetiche congenite più diffuse nel mondo. Nel periodo 1990-2009, la prevalenza stimata della patologia è stata di 22 casi ogni 10.000 nati vivi in Europa.

Il rischio di concepire un bimbo Down cresce con l’aumentare dell’età della mamma. E’ stato calcolato che una donna di 25 anni abbia una probabilità su 1250 di mettere al mondo un bimbo Down.

A 30 anni è di una su mille. A 35 anni è di una su quattrocento. A 40 anni, di una su cento e a 45 anni, di una su trenta. 

Un gruppo di studiosi italiani dell’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGM-CNR) e del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Pavia, ha pubblicato sulla rivista specializzata internazionale Mutation Research un articolo scientifico dal titolo Difetti nei meccanismi di difesa cellulare dai danni al DNA nella sindrome di Down.

Lo studio, a cura da un team di ricercatori coordinati da Ennio Prosperi e Daniela Necchi, mostra la complessità della patogenesi del danno cellulare che si osserva nei pazienti affetti da Trisomìa 21 (cioè la trisomia a carico del cromosoma 21 che nella specie umana costituisce la base genetica della Sindrome di Down), le cui cellule sono maggiormente esposte a danni da stress ossidativo.

La ricerca ha investigato sulla capacità delle cellule dei pazienti Down di far fronte a questo ‘stress’.

Ennio Prosperi, co-autore della pubblicazione scientifica, sottolinea: “L’anomala espressione dei geni associati al cromosoma 21 causa uno squilibrio nel funzionamento di alcune proteine che regolano il metabolismo dell’ossigeno, dando luogo allo ‘stress ossidativo’, ovvero un accumulo di prodotti di scarto del metabolismo stesso, forme molecolari altamente reattive e tossiche per le cellule. Si ritiene – continua Prosperi – che alcuni aspetti patologici della sindrome di Down siano correlati con un aumento dello stress ossidativo, che può danneggiare diversi componenti cellulari ed in particolar modo il DNA. Le nostre ricerche hanno mostrato che nelle cellule del derma dei pazienti Down si riscontra un deficit nella riparazione di tale danno e che questo deficit è una caratteristica intrinseca di tali cellule.

Professor Prosperi, quali ulteriori studi sono necessari per completare il meccanismo patogenetico da voi investigato? E quali le potenziali ricadute in termini di trattamento per i pazienti in prospettiva futura?

Gli ulteriori studi necessari dovranno chiarire le basi molecolari dei difetti della riparazione del DNA osservati nelle cellule dei pazienti Down. Oggi si ritiene che tali difetti siano correlati con diverse patologie, tra cui i tumori. Poiché nei bambini Down l’incidenza di alcuni tipi di leucemia è più elevata del normale, le potenziali ricadute di questi studi potrebbero essere rappresentate da nuove strategie terapeutiche rivolte a ridurre tale rischio. Inoltre il nostro studio suggerisce che il trattamento con gli antiossidanti, oggi proposto e sperimentato in diversi studi clinici, debba essere iniziato molto precocemente, per ridurre l’entità dei danni derivanti dallo ‘stress ossidativo’.

A suo parere, quali sono i gap conoscitivi più significativi nell’ambito della Sindrome di Down?

La sindrome di Down è una condizione caratterizzata da molteplici aspetti patologici le cui componenti causative sono correlate ad un alterato dosaggio nell’espressione di una serie di geni presenti sul cromosoma 21. Oggi è ancora difficile capire come queste molteplici cause interagiscano tra loro per dare poi luogo alle manifestazioni patologiche, che vanno dall’invecchiamento precoce, a diverse forme di disabilità intellettuale, insieme ad altre numerose disfunzioni dell’organismo. Da questo punto di vista è necessario un approccio ad ampio spettro per ottenere informazioni più dettagliate non solo sui profili di espressione genica, ma soprattutto sui meccanismi epigenetici (cioè di regolazione dell’espressione genica), le cui ricerche sono ancora all’inizio. Tra queste, lo studio dell’influenza dei microRNA (piccole molecole di acido ribonucleico) e delle modificazioni del DNA (metilazione), sull’espressione dei geni del cromosoma 21, potranno apportare nuove conoscenze che aiuteranno ad analizzare con maggiore precisione ed aumentare le possibilità di cura delle varie manifestazioni patologiche che caratterizzano questa sindrome.

Qual è l’impatto delle conoscenze derivanti dallo studio della Trisomìa 21 sulla scienza genetica umana in generale?

Mi permetta di girare la domanda dicendo che la scienza genetica, ma anche le ultime conoscenze di biologia molecolare e cellulare, stanno fornendo una serie di nuovi stimoli con tecniche di ultima generazione per lo studio dell’espressione genica e sui loro meccanismi di regolazione cellulare. Ne è un esempio la produzione di colture di cellule staminali indotte (iPSC o induced pluripotent stem cells) a partire da cellule del derma di persone Down. Dalle iPSC si sono ottenute cellule neuronali adatte a studiare i difetti di neurogenesi, ma anche i meccanismi della neurodegenerazione (simile alla patologia di Alzheimer) che si riscontra precocemente nei pazienti Down. Gli studi sulla sindrome di Down si stanno quindi avvantaggiando di queste nuove possibilità, così come avviene per altre patologie. Tuttavia è anche vero che gli studi sulla Trisomìa 21 possano avere un notevole impatto su altre patologie genetiche basate su altre anomalie cromosomiche meno frequenti.

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