The Program, di Stephen Frears, con Ben Foster, Dustin Hoffman, Chris O'Dowd, Lee Pace, Jesse Plemons, Bryan Greenberg, Guillaume Canet, J.D. Evermore, durata 103’, nelle sale dal 8 ottobre 2015, distribuito da Videa.
Recensione di Luca Marchetti
Chi è veramente Lance Armstrong? Nell’estate del 2012, l’opinione pubblica mondiale si è trovata, improvvisamente, di fronte ad un bivio: continuare a credere al ragazzo che, dopo aver sconfitto il cancro, ha lottato per arrivare alle vette del mondo o, finalmente, accettare che l’eroe americano sia in realtà un ciarlatano, un truffatore machiavellico invischiato fino al collo nel doping?
Per anni, specie nei suoi momenti di massimo splendore, si era ventilata l’ipotesi di realizzare un film sulla vita e sui miracoli di Armstrong, il primo uomo a vincere sette Tour de France.
Ora, con il nostro ex eroe perso tra la damnatio memoriae e una lunga serie di processi, ci pensa il cineasta Stephen Frears con The Program a portare sullo schermo la sua triste e folle parabola.
Regista capace di alternare con intelligenza commedie leggere e raffinate, con drammi impegnati e solidi, Frears dipinge una figura mostruosa, il ritratto di un uomo che mosso da un’insaziabile fame di vittorie e di affermazione, si è spinto oltre a tutto.
Frears sembra voler usare gli espedienti, anche visivi, del cinema sportivo (fantastiche le scene con Lance in sella alla sua bici) per raccontare un vero e proprio gangster movie, dove il nostro villain ascende e discende nel suo piccolo mondo ciclistico, dove il programma non è un piano per vincere il Tour ma la planimetria di un impero “criminale”.
Il Lance Armstrong del film, interpretato da un ottimo Ben Foster (alle prese con il primo ruolo da protagonista mainstream) non è un eroe ambiguo ma un vero e proprio genio del crimine, non ha alcuna sfumatura grigia (anche nel suo rapporto con la guerra al cancro sembra essere sempre più strumentale che sincero) ma è solo, totalmente, nero.
Circondato da complici e sodali (uno tra tutti il mellifluo dottor Michele Ferrari, il re del doping), Armstrong non può non finire i suoi giorni di gloria punito dalla propria vanità, schiacciato da una mente annebbiata dalla propria arroganza, colpito dal solito amico “infame” che lo tradirà con le autorità competenti.
Nonostante la presenza di altri personaggi che prendono spesso il centro della scena, contrapponendosi al protagonista, come il giornalista David Walsh, il primo cronista sportivo a mettere in dubbio la regolarità delle vittorie di Armstrong, e il traditore Floyd Landis, il film non è un contrasto tra buoni e cattivi, non è una caccia al mostro Lance.
The Program è il trionfo tragico di un uomo che ha approfittato di un mondo innamorato della sua storia di caduta e risalita, dell’atleta che ha sfruttato il proprio status di paladino dei più deboli (l’associazione per la lotta al cancro usata sempre come scudo, come fine, come giustificazione), di un uomo debole che fino all’ultimo, fino a quella confessione straniante di fronte a Oprah Winfrey, ha incarnato quello che tutti quanti volevano che lui fosse.
Il film, anche per colpa di una sceneggiatura non sempre all’altezza, colpevole di rispondere a molte domande, di risolvere molte svolte narrative, è ben lontano dalla durezza e dall’efficacia giornalistica della splendida inchiesta di Alex Gibney, The Armstrong Lie, documentario che si è letteralmente costruito in contemporanea con la scoperta dello scandalo.
The Program, però, con tutti i suoi limiti, è anche il lucido bilancio di un’esistenza umana che si è bruciata da sola, la nuova conferma che è sempre più difficile credere nell’esistenza degli eroi.
Critico cinematografico