La democrazia del leader, di Mauro Calise, Editore Laterza, Roma-Bari, 2016, pp. 160. Euro 13.
Recensione di Roberto Tomei
Il libro che qui si presenta si propone come la spiegazione della “costituzione materiale” (espressione coniata da Mortati) dei giorni nostri. Continuiamo, infatti, a “narrare” l’assetto costituzionale come fossimo ancora ai tempi di Montesquieu, ripetendo che ci sono tre poteri (legislativo, esecutivo e giurisdizionale) e tacendo che in questa storia secolare essi, ma soprattutto i rapporti tra loro, hanno subito modifiche di grande rilievo.
Se col secolo scorso (noto come il secolo breve), attraverso la simbiosi tra Stato e partiti e la progressiva incorporazione delle masse, sembrava essersi definitivamente chiusa la partita col potere patrimoniale e personale del sovrano, oggi stiamo assistendo, invece, secondo Calise, a una progressiva inversione di rotta, col ritorno del capo al posto di comando, che si manifesta con l’irruzione dell’io: narcisistico e autoreferenziale. Calise aggiunge anche carismatico, ma per quel che si sente in giro, almeno qui da noi, il termine mi sembra eccessivo.
Il leader compete con altri leader, anch’essi visibili come lui. Ma i suoi nemici più pericolosi, ci fa notare l’autore, sono quelli nascosti, titolari di un potere che prescinde dal circuito elettorale:” Un potere pre-democratico e post-democratico: la Magistratura e i Media”.
Leader, media, magistratura: sono questi, dunque, gli attori dominanti della democrazia contemporanea, i protagonisti della costituzione materiale, che Calise definisce “silenziosa”. E questa trasformazione in tanto è stata possibile in quanto i partiti, un tempo l’architrave del sistema, sono diventati colossi dai piedi d’argilla. Non facendo più sistema, come avveniva prima, allorché si ancoravano gli uni agli altri, oggi, “con consapevolezza altalenante e percorsi più o meno contrastati”, essi riescono a sopravvivere solo mettendosi al servizio di un leader.
L’autore osserva poi come siano state la crisi dei partiti, l’esplosione degli scandali e la gogna che trasforma anche le organizzazioni più solide in una cricca di malfattori ad aver aperto la strada al rientro della magistratura in politica; quanto ai media, invece, sottolinea come siano proprio essi all’origine della grande trasformazione, “la Minerva dalla cui testa escono i cavalieri della leadership”, di cui sono “ispiratori, promotori, adulatori. Ma anche fustigatori, inquisitori, detrattori e liquidatori”.
L’approdo di questa trasformazione potrebbe essere la presidenzializzazione dei regimi politici, ricostituendo intorno al “monarca repubblicano” l’unitarietà del comando legittimata democraticamente.
Ma Calise ci avverte che il regime presidenziale, da un lato, non si caratterizza necessariamente come fusione riuscita tra esecutivo e legislativo, come insegna la parabola di Obama; dall’altro, che il “presidente personale” può facilmente andare incontro a un cortocircuito tra forza e debolezza, ove risultasse incapace di soddisfare l’alto livello di aspettative create nell’elettorato. Concludendo così che “forse, nella congenita fragilità del suo comando sta anche la principale garanzia che i nuovi regimi personali restino nell’alveo democratico”.
Abbiamo, insomma, di che consolarci, soprattutto ripensando agli uomini soli al comando del secolo scorso. Sarà pure così, ma io continuo a diffidare di questi particolari animali politici e l’unico “uomo solo al comando” che mi piace è Coppi. Mi correggo: anche Bartali.