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Sabato, 18 Mag 2024

Lo spirito del garantismo. Montesquieu e il potere di punire, di Dario Ippolito, prefazione di Nadia Urbinati, Donzelli Editore, Roma, 2016, pp. 112, euro 16,50.

Recensione di Roberto Tomei

Il saggio che qui si presenta è una riflessione sul potere di punire, che lo Stato si attribuisce per scongiurare il bellum omnium contra omnes, uno studio cioè sulla “forza” senza la quale sarebbe impossibile evitare la prevalenza della legge del più forte.

Potere tanto necessario quanto terribile. Ed è proprio questo il punto colto da Montesquieu (cui si ispirerà poi anche il nostro Beccaria), che sottolinea come la legge protegga e punisca, onde si rende necessario trovare un giusto equilibrio: senza regole assistite da sanzioni, le leggi non verrebbero rispettate, ma, al contempo, quelle regole possono essere minacciose, in quanto potenzialmente idonee a incidere sui diritti fondamentali delle persone.

Si tratta allora di stabilire la portata delle proibizioni e delle pene, senza andare oltre il necessario. Pur senza usare il termine garantismo, Montesquieu sottolinea, dunque, questa necessità di tenere a freno il potere di punire.

Il discorso riguarda, innanzitutto, il legislatore, che deve evitare di “inventare” reati a fattispecie indeterminata, atteso che questi possono sempre tradursi in capi di imputazione da cui è difficile difendersi, perciò forieri di giudizi dagli esiti scarsamente prevedibili. In secondo luogo, vincoli precisi vanno posti al potere del pubblico ministero nell’ambito del rito del processo, fermo restando che da evitare non sono solo processi sommari, ma anche arresti e controlli arbitrari della polizia. Non si deve mai acconsentire, insomma, all’indebolimento delle garanzie, tenendo sempre ben presente che anche il carcere, come dice la Costituzione, deve tendere a rieducare, laddove troppo spesso si è trasformato nell’università del crimine.

Per completezza, è il caso di sottolineare che il garantismo non deve allignare soltanto tra gli operatori del diritto, ma permeare anche i media, che devono guardarsi, come anche recenti vicende ci hanno confermato, dal lasciarsi andare al troppo facile esercizio di “sbattere il mostro in prima pagina”.

L’auspicio è che oggi il garantismo possa diventare un orizzonte culturale condiviso, mentre è da ripudiare ogni approccio tendente a vedervi lo scudo attraverso il quale i potenti si difendono da certi effetti legali delle loro azioni. E’ indubbio, infatti, che il termine, almeno presso un parte dell’opinione pubblica, ormai esprima una formula screditata, oggetto di diffidenza e sospetto, in quanto percepita come sinonimo di immunità, impunità e privilegio. Insomma, di giustizia tradita e di pratiche avvocatesche volte a eludere la legge.

Viceversa, quando si parla di garantismo, non bisogna pensare ai potenti ma al singolo cittadino che viene a trovarsi davanti alla legge (nel senso kafkiano del termine) e che non può né deve diventare vittima di un potere arbitrario.

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