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Sabato, 04 Mag 2024

Segreti di famiglia, di Joachim Trier, con Jesse Eisenberg, Isabelle Huppert, Gabriel Byrne, Amy Ryan, Ruby Jerins, David Strathairn, Rachel Brosnahan, durata 109’, nelle sale dal 2 giugno 2016, distribuito da Teodora Film.

Recensione di Luca Marchetti

Joachim Trier non è un autore molto conosciuto in Italia, sebbene sia alla sua terza opera da regista e venga considerato globalmente (per la sua partecipazione ai maggiori festival internazionali e la sua considerazione in patria) l’enfant prodige del cinema norvegese.

Dopo i suoi due ottimi Reprise e Oslo, 31. August, dispiace spingerci così oltre, ma non possiamo fare a meno di considerare questo Segreti di famiglia, presentato in concorso al Festival di Cannes 2015, come un rovinoso passo falso.

Se anziché dal regista scandinavo il film fosse stato scritto e diretto da uno qualsiasi degli autori-fotocopia che infestano il panorama, ormai asfittico, del cinema indie statunitense, non avremmo avuto troppo da ridire di fronte all’esile trama basilare costruita sull’ennesimo dramma familiare o alle trovate registiche furbe e inflazionate (le voci fuori campo e i montaggi di immagini esteticamente perfette, il tono visivo gelido e celebrale).

Purtroppo, dietro alla macchina da presa non c’è uno dei tanti figli del Sundance Festival ma Trier, cineasta che, ci sembrava, avesse una visione registica originale ed emotivamente esplosiva (da questo punto di vista Oslo,31. August, spaccato sulla gioventù confusa della capitale norvegese, rimane il suo capolavoro).

La sua decisione di appiattirsi e farsi “colonizzare” da immagini e concept propri di certo cinema Usa lascia davvero interdetti.

Segreti di famiglia, infatti, racconta la storia di un nucleo familiare composto da soli uomini (il maturo padre insegnante e i suoi due figli, il giovane insegnante universitario neo-papà e l’adolescente in crisi) costretto a fare i conti, dopo alcuni anni, con la scomparsa del proprio “collante”: la madre fotografa di guerra, morta in un’incidente stradale.

Nonostante la scontata trama e il titolo italiano (l’originale è il più poetico Louder than bombs) possano far immaginare che il film sia una sorta di thriller emotivo, un gioco di conflitti familiari, la pellicola di Trier si rivela presto come un meccanismo inefficace, troppo interessato a seguire la confezione indie per pensare davvero al proprio racconto.

L’opera è una bomba inesplosa, dove la caratterizzazione dei personaggi rimane drammaticamente sullo sfondo (e ben poco possono fare le buone interpretazioni dell’ottimo Gabriel Byrne e del giovane Devin Druid) raggelate nell’atmosfera ostinatamente glaciale ricercata da Trier.

Persino la sua star, quel Jesse Eisenberg paladino del cinema d’autore statunitense, si ritrova bloccato nella mediocre sgradevolezza di un personaggio mal scritto, copia non riuscita del giovane adulto nevrotico e in crisi a cui l’attore è ormai abituato.

Nella delusione di questo film, alla fine, si salva solo Isabelle Huppert, madre e moglie adorata, rievocata come un dolce spettro che infesta benevolmente, ancora, la vita dei propri cari, devastati per la sua assenza, ma riconciliatisi, alla fine, nel suo ricordo.

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