Non commettono i reati di cui agli artt. 319 e 321 del codice penale (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) i commessi giudiziari che ricevono denaro in cambio di attività indebitamente svolta a vantaggio di alcuni difensori, consistita nella prenotazione di udienze, nel rilascio informale di copie, nell’avviso circa il contenuto di atti e provvedimenti, anche prima del deposito.
Confermando una decisione del Tribunale di Napoli, lo ha stabilito, con sentenza n.8070 del 2 febbraio 2016, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, asserendo che in via generale il commesso giudiziario non rientra nelle categorie dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio, delineate dagli artt. 357 e 358 cod. pen.
Tali commessi - si legge nella sentenza - non esercitano una pubblica funzione amministrativa caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi né svolgono l’attività dell’incaricato di pubblico servizio, i loro compiti risolvendosi nello svolgimento di mansioni d’ordine e di prestazioni d’opera meramente materiale. Né ricorre, nel caso di specie, la figura del funzionario di fatto, stante che l’attività di fatto deve concretamente inserirsi nell’assetto organizzativo ed essere recepita o almeno concretamente tollerata dalla pubblica amministrazione di riferimento.
L’attività dei commessi, viceversa, non ha mai assunto il crisma della sua attribuibilità all’ufficio, ma si è risolta nel compimento di atti materiali di comunicazione del tutto extra ordinem, non riconducibili al tipo di attività imputabile ai titolari della funzione o del pubblico servizio e perciò valutabili solo sul piano materiale ed estrinseco.
Non vi è stato perciò lo svolgimento di fatto di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, non potendosi equiparare la formale comunicazione di un provvedimento o l’inoltro di informazioni nell’interesse della pubblica amministrazione o nell’ambito dei compiti ad essa assegnati alla trasmissione abusiva di informazioni, occasionalmente assunte nell’ambito delle mansioni esecutive assegnate, senza alcuna acquiescenza in ordine al compimento di quell’attività.