Elogio della gentilezza. Breve storia di un valore in disuso, di Adam Phillips e Barbara Taylor, Editore Ponte alle Grazie, Milano, 2015, pp.109, euro 12.
Recensione di Roberto Tomei
Chi è così pazzo da negare l’esistenza della gentilezza, scriveva Hume, ha semplicemente perso il contatto con la sua realtà emotiva, “ha dimenticato i moti del suo cuore”.
Eppure, anche se non la negano, molti oggi sembrano averla dimenticata.
La gentilezza, che un tempo era un piacere, ai giorni nostri è diventata, infatti, qualcosa di incredibile o quanto meno di sospetto, visto che viviamo dentro un’umanità di esseri competitivi e autoreferenziali, in certi casi persino cattivi e pericolosi.
Il libro, scritto da uno psicanalista e da una storica, cerca, appunto, di rispondere alla domanda come mai la gentilezza sia diventata per la nostra epoca un tabù.
Nell’analisi di questo “valore perduto”, una puntuale ricostruzione storica si affianca e si mescola alla chiave di lettura della psicanalisi, lasciando emergere una descrizione della gentilezza come valore irrinunciabile della vita buona, uno dei modi migliori per essere felici, in quanto piacere fondamentale per il nostro benessere.
Il punto di vista esposto nel testo è, così, l’esatto opposto della tesi di Nietzsche. Se questi vedeva nell’estendersi della “morale della compassione” il sintomo più inquietante della cultura europea, per i nostri autori, viceversa, la morale della compassione non ha fatto progressi, congedandosi dalle sue intuizioni più penetranti, ed è questo il dato veramente poco esaltante della vita moderna.
Essere gentili ci fa sempre sentire meglio e, tuttavia, non riusciamo a esserlo così spesso come vorremmo, perché la gentilezza è una tentazione quotidiana a cui facciamo resistenza.
L’invito degli autori si concentra proprio su questo punto, come un consiglio a superare questa resistenza, perché è la gentilezza che rende la vita degna di essere vissuta e ogni attacco contro di essa è un attacco contro le nostre speranze.