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Sabato, 20 Apr 2024

Lo scambio di condoglianze tra capi di stato e di governo in occasione di lutti che colpiscono un paese amico/alleato è diventato un fatto formale che riguarda la sfera delle relazioni internazionali e della diplomazia e non quella dei sentimenti. La televisione provvede a darci conto che il presidente americano o quello francese condividono il dolore del nostro paese, e la prossima volta ci riferirà che il nostro presidente ha fatto avere le nostre condoglianze all’altro presidente.

Sono fatti formali, e, come si dice nel Mezzogiorno, non mettono e non tolgono. Mi hanno colpito, invece, le lacrime sincere del nostro ministro degli esteri Gentiloni per i morti italiani di Dacca. Hanno rappresentato, a mio avviso, un fatto che ha rotto le formalità e ha riportato tutti al piano dei sentimenti.

Mi ha colpito molto in un altro contesto anche una foto che è stata riportata dai quotidiani dopo l’uccisione di alcune persone di colore negli Stati Uniti: una ragazza stringe tra le mani un cartello con la scritta “Black lives matter”, le vite degli uomini di colore contano, sono importanti, hanno valore. Il fatto che un uomo di colore sia stato ucciso da un poliziotto mentre era in macchina assieme alla sua compagna e alla loro bambina, e ancora con la cintura allacciata stava mostrando i documenti, è un fatto agghiacciante. E’ un fatto agghiacciante che solo qualche anno fa sarebbe passato sotto silenzio, oppure raccontato come un’ipotesi, ma oggi la tecnologia dei telefonini permette di farlo vedere in diretta e metterlo in rete. E’ un fatto agghiacciante e, come milioni di persone, sono rimasto sconvolto.

La ragazza con il cartello ha ragione, la vita dei neri conta. Ma, a poche ore di distanza a Dallas, un giovane di colore, riservista dell’esercito americano, che aveva combattuto in Afghanistan, e che in passato aveva sostenuto il gruppo “Black Lives Matters”, ha ucciso cinque poliziotti bianchi. Cinque poliziotti che assicuravano l’ordine in una manifestazione di protesta della comunità afro-americana.

Il giovane uccisore dei poliziotti è stato ucciso a sua volta, dopo un’inutile trattativa, non da poliziotti ma da un robot guidato e carico di esplosivo. Anche questa morte, questa esecuzione con una macchina, non può non riempirci di orrore. Penso che sia la prima volta che si utilizza un robot per un’esecuzione che nessuna corte di giustizia aveva decretato.

Non credo sinceramente di poter svolgere il ruolo di questo tribunale che non si è mai riunito, penso solo che si debba ricordare quello che scriveva Freud, che il male è proprio dentro di noi, in noi che stiamo vivendo in questo momento, che parliamo e giudichiamo e non nell’altro.

E poi, come diceva Elie Wiesel, non è con il male che si può sconfiggere il male. Né progettando il male, rimuginandolo come un veleno dentro di sé, né compiendolo.

Sul presidente Obama oggi si scatenano le ire degli afro-americani che, fino a poco tempo fa, lo osannavano, e quelle del ceto medio bianco intimorito. Ma anche quelle di una minoranza bianca povera (oggi non più solo del sud) che pensa di rifugiarsi nel Suprematismo, in White power, nella Nazione ariana, tra i neonazisti. In tutto quel mondo malato in cui il risentimento, il declassamento sociale, la frustrazione di un’esistenza mancata, si mescolano con il delirio di onnipotenza esaltato dal possesso di armamenti di tutti i tipi.

Ma la colpa non è di Obama, semmai in questo caso gli si deve dare atto di avere riproposto con ostinazione maniacale quel sistema di controllo sulle armi a cui si oppone la più potente lobby degli States, la NRA. Credo che il prossimo presidente a cui toccherà questa pesante eredità, non potrà non farsi carico di questo problema.

Ma affinché l’America non cada in una tragica guerra civile, occorre progettare un migliore sistema di istruzione pubblica, un sistema che offra una reale educazione anche ai figli degli slums e dei ghetti. Occorre affrontare il problema dei “valori americani” anche nell’esercito, perché i veterani sono coinvolti in misura sempre maggiore in episodi di violenza e di autodistruzione.

Sembra che tutto quello che viene dato ai giovani soldati americani sia soltanto un buon addestramento fisico e militare, come si è visto in una serie di film di guerra di sconcertante banalità. Il giovane reduce dall’Afghanistan che ha ucciso i cinque poliziotti bianchi a Dallas non aveva ricevuto evidentemente dai suoi superiori nessun insegnamento sul valore della vita umana.

Ma credo che l’America dovrebbe riflettere anche sugli hate groups, impedendo a qualunque associazione, club o partito fondato sull’odio di diffondere ovunque il proprio veleno. Non credo che costituisca un vulnus al valore della libertà, impedire a chiunque di affermare che un gruppo etnico o religioso è superiore ad un altro, o che un gruppo etnico o religioso dovrebbe essere distrutto.

Ugo La Malfa sosteneva molti anni fa nel contesto italiano il grande valore delle “riforme senza spesa”, io credo che riforme di questo tipo, in particolare quella sullo stretto controllo degli hate groups siano una riforma senza spesa che potrebbe portare grandi benefici agli Stati Uniti.

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