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Giovedì, 25 Apr 2024

Il governo ha pomposamente preannunciato il varo dello student act che, tra le altre cose, dovrebbe prevedere la presa in carico ogni anno di 500 studenti plusdotati o, per usare il linguaggio governativo, gifted, iscritti al quarto o quinto anno delle scuole medie superiori.

Questi ragazzi riceveranno dallo Stato un assegno mensile e verranno seguiti da un tutor fino alla fine degli studi, scuole di specializzazione e master inclusi.

Saranno pochi fortunati rispetto ad una platea potenziale di 180mila studenti. Secondo gli esperti, il 2% degli studenti possiede un'intelligenza molto al di sopra della media che andrebbe “sfruttata” molto prima dell'arrivo agli ultimi anni della scuola media superiore, quando ormai potrebbero “essersi persi per strada”. E sì perché, questi sono allievi che, proprio in quanto molto intelligenti, a scuola spesso si annoiano, a meno che non si accorci il loro percorso scolastico. In ogni caso, dati i numeri resta da vedere come, e se, verranno selezionati.

Lo stesso provvedimento dovrebbe prevedere anche un assegno di circa 5mila euro per finanziare piani di ricerca o la pubblicazione di articoli su riviste internazionali di giovani ricercatori universitari. L'assegno, o grant, verrebbe versato direttamente ai giovani studiosi anziché alle università presso le quali operano.

Anche questo appare un intervento risibile alla luce dei dati che emergono dalla VI Indagine dell'Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia – Del declino e delle occasioni mancate, numeri e condizione del Dottorato in Italia: in dieci anni è andato perso il 44% dei posti messi a bando per il dottorato. Infatti, nel 2006 erano 15.733, nel 2016 sono diventati 8.737.

Ma non basta, degli attuali assegnisti di ricerca solo il 6,5% avrà un futuro da ricercatore strutturato, il 93,5% resterà a casa o andrà a fare altro.

V'è di più, la predetta riduzione è “selettiva” per atenei e territori. 10 atenei (8 dei quali ubicati al Nord) concentrano il 42% dell’offerta, mentre i posti banditi dagli atenei meridionali scendono dal 27,7% al 21,7%. Risultato: il 60,3% degli assegnisti è concentrato il 4 regioni Lombardia (21,4%), Emilia-Romagna, Veneto e Lazio.

Un gap che si può riscontrare anche nella distribuzione del numero dei ricercatori di tipo a e di tipo b (gli unici che possono ambire a un posto da associati). Il 50,3% dei ricercatori di tipo a è concentrato in 5 regioni: Lombardia (17,3%), Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio, mentre il 24,9% è nel sud e nelle isole. Quanto ai ricercatori di tipo b, la concentrazione nelle predette regioni sale al 64,9% mentre al sud e nelle isole scende al 21,8%.

Il depauperamento passa anche attraverso la moltiplicazione delle fattispecie di figure dottorali che vi è stata in questi ultimi anni. Se prima c'erano solo dottorati di ricerca, con o senza borsa, ora ci sono pure dottorati industriali (art. 11, co. 2 DM 45/2013, giacché “le università possono altresì attivare corsi di dottorato industriale con la possibilità di destinare una quota dei posti disponibili, sulla base di specifiche convenzioni, ai dipendenti di imprese impegnati in attività di elevata qualificazione...”). Inoltre, esistono apprendistati di alta formazione (ex art. 5 Dlgs 167/2011), che prevedono contratti a tempo indeterminato con cui le aziende – in cambio di sgravi fiscali, contributivi ed incentivi economici - assumono giovani fino a 29 anni che siano in fase di formazione, dottorato incluso. I contratti in questione sono regolamentati da accordi territoriali tra Regioni, datori di lavoro e università. Infine, vi sono i borsisti provenienti da atenei stranieri o che fanno parte di specifici programmi di ricerca internazionali.

Ma la cosa più grave che emerge dalla ricerca è che i dottorandi non dispongono di sufficienti informazioni sui fondi che spetterebbero a loro; il 10% non ne conosce l'esistenza, mentre il 56,4% non sa come vengono erogati.

I dottorandi appaiono vittime di più di un abuso: dall'imposizione, per alcuni, della totale incompatibilità dottorato-lavoro, alla mancanza di attività formative obbligatorie nei corsi o, laddove esse vi siano, scarsamente attinenti con il corso frequentato. Per finire, si registra l'impossibilità, per i più, di svolgere un periodo di ricerca all'estero o almeno di frequentare dei corsi di lingua straniera.

L'indagine si chiude con un confronto con altri paesi europei, che ci dà un'idea chiara della considerazione che si ha del settore in Italia: finanziamenti esigui, che spesso si perdono per strada; scarsa qualità della formazione; poche o nulle possibilità di restare nell'università; basse remunerazioni.

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