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Giovedì, 16 Mag 2024

In principio, fu un tweet del Presidente del Consiglio, poi è stata la volta della legge di stabilità, ora è toccato al decreto della ministra Giannini e finalmente le nostre Università cominciano a vedere, anche se molto lentamente, l’alba per il reclutamento di nuovi ricercatori.

 

In disparte l’annuncio di Renzi, che ancora non è fonte del diritto, l’art. 1, comma 247 della legge n.208 del 2015 (legge di stabilità 2016), con l’obiettivo dichiarato di sostenere l’accesso dei giovani alla ricerca, l’autonomia responsabile delle università e la competitività del sistema universitario e della ricerca italiano a livello internazionale, ha incrementato il Fondo per il finanziamento ordinario delle università di 47 mln di euro per il 2016 e di 50,5 mln di euro a decorrere dall’anno 2017, per l’assunzione di ricercatori e per il loro conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia.

A valere sulle risorse sopra indicate, il decreto Giannini del 18 febbraio scorso dà ora il disco verde per l’attivazione di 861 posti di ricercatore a tempo determinato, che diventeranno perciò nel complesso oltre 1500, dato che presso le nostre università ce ne sono in servizio già 700. Questi nuovi posti sono ripartiti  combinando due criteri: da un lato, a ogni università è attribuita una quota fissa, pari a 2 posti, per complessivi 132 posti; dall’altro, a valere sulle risorse residue, sono attribuiti ulteriori 729 posti, ripartiti sulla base della VQR complessiva e della VQR relativa alle politiche di reclutamento. In concreto, i nuovi ingressi vedono ai primi posti  l’Alma Mater, ossia l’ateneo bolognese, con 50 ricercatori da assumere, poi La Sapienza di Roma (47), Padova (39), Milano (34) e Napoli Federico II (32).

Le risorse assegnate e non utilizzate resteranno nella disponibilità dell’ateneo fino al 2016. Dal 2017 saranno, invece, riassegnate per una somma equivalente al massimo a 1 posto di ricercatore, seguendo l’ordine progressivo fissato dalla tabella di assegnazione per ateneo, allegata al decreto.

Degna di nota è l’ultima prescrizione del decreto, in base alla quale, nel caso in cui i predetti ricercatori, avendo conseguito l’abilitazione scientifica nazionale e avendo ricevuto la valutazione positiva dei loro atenei, accedano alla posizione di professore di seconda fascia, lo stanziamento previsto dal decreto copre anche il cofinanziamento del costo per il passaggio di fascia.

Disco verde dalla Ministra anche al decreto, ancora in attesa del concerto del Mef, per il riparto del fondo (6 mln), sempre stanziato dalla legge di stabilità, per il reclutamento straordinario di docenti ordinari, col vincolo che il 20% delle risorse sia destinato alla chiamata di professori che non appartengano all’organico dell’Università che assume.

Al Miur c’è grande soddisfazione per il varo di questo “piano straordinario”, grazie al quale l’università riceverà una iniezione di energie fresche. Anche tra i rettori le reazioni sono positive. Quello di Roma Tre, Mario Panizza, sembra tra i più entusiasti. A suo parere, le previsioni del decreto, che interpreta come destinate ai  ricercatori di 33-40 anni, rafforzano “la premialità e il merito sia dei ricercatori che degli atenei” e “potenziano di fatto anche la didattica, ringiovanendo il corpo docente e innescando un circolo virtuoso di recuperi tra ordinari andati in pensione e nuovi gruppi di professori”.

Anch’essa positiva ma improntata a un più cauto ottimismo la reazione del presidente della Crui, Manfredi, che parla di “primo passo”, che vale a recuperare “la perdita degli ultimi anni di 10mila docenti e ricercatori”.

Un approfondito studio dell’Unione degli universitari italiani (Udu) è, invece, assai critico nei confronti del provvedimento del Miur, che legge “in un’ottica esclusivamente propagandistica”, poiché non solo garantisce “infime possibilità di reclutamento” ma “prosegue una serie di politiche universitarie fortemente penalizzanti per il Sud”.

Secondo l’Udu, a conti fatti, l’impatto medio di questo piano ricercatori sarà dell’1,80 rispetto all’attuale organico di ordinari, associati e ricercatori, con percentuali di recupero dei posti persi che variano tra gli atenei, con la costante, però, di svantaggiare quelli del Mezzogiorno.

Al centro del j’accuse dell’Udu c’è, ancora una volta, la VQR, “che mira esclusivamente a punire e allocare, secondo un presunto merito, risorse, che in realtà sono quote inferiori di tagli”, e dietro alla quale si nasconde il reale obiettivo del governo, ossia “ridurre il numero delle università e abbattere il sistema universitario del Mezzogiorno”.

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