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Sabato, 04 Mag 2024

Può il più grosso ente pubblico del paese accorgersi dopo più di tredici anni che il suo Statuto, approvato dal Miur, contiene un errore macroscopico, dagli effetti deflagranti?

Sembra proprio di sì, se è vero, come in effetti lo è, che al Cnr, il cda, su esplicita e “argomentata” richiesta del direttore generale facente funzioni, si appresta domani a modificare l’art. 15, comma 2, dello Statuto entrato in vigore il 1° maggio 2015, sul presupposto che contrasterebbe con quanto previsto da un’altra disposizione legislativa, risalente niente di meno che al 2003.

La relazione inviata dal direttore generale dell’ente (di cui Il Foglietto è a conoscenza) ai membri del cda, ai Revisori e al Magistrato della Corte dei conti delegato al controllo, sembra, apparentemente, non fare una grinza ma, ad un più attento esame, si appalesa del tutto priva di fondamento giuridico e, quindi, non in grado di giustificare la richiesta modifica statutaria.

Ma veniamo ora all’oggetto dell’inopinata iniziativa dell’attuale direzione generale dell’ente - ancora in attesa di una guida pleno jure a più di 100 giorni dall’insediamento al vertice di Massimo Inguscio - che sembra destinata a suscitare non poche reazioni sia all’interno del cda che al di fuori.

Materia della richiesta errata corrige da parte del direttore generale f.f. è la disposizione contenuta nell’art. 15, comma 2, dello Statuto del Cnr, che – trattando delle incompatibilità – testualmente, recita: “Il Presidente, se professore o ricercatore universitario, è collocato in aspettativa ai sensi dell’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”.

Ad avviso del richiedente la modifica statutaria, tale disposizione sarebbe in aperto contrasto con quanto previsto dall’art. 15, comma 2, del decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 127, di “Riordino del Consiglio nazionale delle ricerche” che, a sua volta, statuisce che: “Il Presidente, se professore o ricercatore universitario, può essere collocato in aspettativa ai sensi dell’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”.

In pratica, per il direttore generale f.f. del Cnr, quello che per lo Statuto è un obbligo (collocamento in aspettativa del presidente professore o ricercatore universitario), per il d.lgs. 127/2003, che indubbiamente è norma speciale, sarebbe una mera facoltà demandata al presidente, che ben potrebbe svolgere entrambe le attività (professore universitario e presidente del Cnr), con il conseguente cumulo dello stipendio di docente ordinario (circa 100 mila euro lordi annui) e della indennità di carica presidenziale (circa 160 mila euro annui lordi).

Ma le conclusioni a cui giunge il direttore generale f.f. appaiono tutt’altro che giuridicamente ineccepibili e ciò in quanto al n. 2 f.f. di piazzale Aldo Moro sembra essere sfuggito un particolare non proprio insignificante e cioè che a commettere un errore materiale non è stato l’estensore dello Statuto del Cnr bensì quello del citato decreto legislativo 127/2003, che se da un lato (per mero errore) ha scritto “può essere collocato” al posto di “è collocato”, dall’altro, però, ha richiamato esplicitamente l’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (norma di carattere generale) che, invece, obbliga l’Ateneo di appartenenza a collocare in aspettativa il professore che assuma la carica di presidente di un ente pubblico. Ciò, evidentemente, per l’ovvia considerazione che l’espletamento della professione di professore universitario non ammette condivisione con altri incarichi a tempo pieno, quale è appunto quello di presidente del Cnr.

Pertanto, se il decreto legislativo 127/2003, come sembra sostenere il dg f.f., avesse voluto innovare in materia di incompatibilità del presidente del Cnr, avrebbe dovuto o ignorare del tutto il Dpr 382/1980, oppure precisare che “Il presidente, se professore o ricercatore universitario, può essere collocato in aspettativa in deroga a quanto previsto dell’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”.

A ciò si aggiunga che lo statuto dell’ente attualmente in vigore trae origine e legittimazione dal decreto legislativo n. 213 del 2009, di riordino di tutti gli enti pubblici di ricerca vigilati dal Miur, compreso lo stesso Cnr, che non ha previsto alcuna innovazione in tema di incompatibilità ed aspettativa per la carica di presidente né ha escluso i medesimi enti di ricerca dal rispetto del più volte citato art. 13 del Dpr 382/1980.

Spetterebbe, dunque, al Parlamento emendare eventualmente la disciplina prevista dall’art.13 del Dpr 382/1980 che prevede che il presidente “è collocato in aspettativa”.

Giusto per inciso, l’Università di Firenze ha collocato in aspettativa il prof. Inguscio (nominato al vertice dell'ente il 15 febbraio 2016) dal 1° giugno, con provvedimento del 10 giugno ultimo scorso che, per mera combinazione, coincide con il giorno in cui, con una mail delle ore 7:34, ci siamo rivolti all'Ufficio stampa dell'Ateneo per chiedere se lo stesso prof. Inguscio, dopo la sua nomina a presidente del Cnr, fosse stato o meno posto in aspettativa.

In conclusione, che dire?

Possiamo solo ipotizzare che deve essere stato lo zelo col quale conducono il loro lavoro ad aver spinto gli uffici della Direzione generale del Cnr a interrogarsi, con tredici anni di ritardo, su una questione della quale il presidente Inguscio certamente ignorava l’esistenza.

Comunque sia, in disparte i profili giuridici che, alla luce di quanto detto sopra, invitiamo gli esperti del Cnr ad approfondire, pesano come un macigno quelli di opportunità. Avallare la tesi del doppio incarico, aprendo a un’opzione in tal senso, significherebbe innanzitutto costringere il neo presidente a un’attività al limite dell’usurante (il Cnr sta a Roma, la sua cattedra a Firenze) che, sottraendogli tempo ed energie, di certo non tornerebbe a beneficio dell’ente di piazzale Aldo Moro che – con i suoi 105 Istituti e le circa 300 strutture di ricerca disseminati su tutto il territorio nazionale – è e deve essere, in definitiva, l’interesse da tutelare.

Soprattutto, il doppio incarico comporterebbe per Inguscio un’altra entrata economica, eventualità che in questo momento si profila assai stridente con quanto accade al resto degli italiani, molti dei quali sono costretti a tirare la cinghia.

Al riguardo, ci piace qui ricordare il fulgido esempio dato dal presidente di un altro ente di ricerca, il prof. Giorgio Alleva dell’Istat, che, prima di insediarsi, davanti al Parlamento solennemente dichiarò, pur non rinnovando mai il suo proposito (i soliti maligni ne approfittarono per dire, con facile sarcasmo, che sarebbe stato smentito il motto “repetita iuvant”), che avrebbe accettato l’incarico rinunciando a una congrua parte dell’indennità.

Sappiamo com’è andata a finire: non se ne fece nulla. La generosa offerta del n. 1 dell’Istat non fu raccolta, ma soltanto per negligenza dell’attuale governo.

Tutto considerato, dunque, ci sembra che lo zelo dei soloni del Cnr sia degno di miglior causa.

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