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Giovedì, 25 Apr 2024

Il fotovoltaico vale 200 gigawatt di elettricità, pari al fabbisogno annuo dell’Italia e al 10% della generazione globale, restituisce da 10 a 50 volte l’energia impiegata nella costruzione degli impianti, che con una superficie inferiore allo 0,6% coprirebbero il fabbisogno Ue. E l’Italia è all’avanguardia nella tecnologia fotovoltaica sin dall’impianto di Vulcano del 1984.

Francesco Meneguzzo, Rosaria Ciriminna, Lorenzo Albanese e Mario Pagliaro sono i quattro ricercatori del Cnr che hanno da poco pubblicato uno studio, dal titolo The great solar boom: a global perspective into the far reaching impact of an unexpected energy revolution, sulla rivista internazionale Energy Science & Engineering.

Al dottor Meneguzzo, primo firmatario dello studio, ricercatore presso l'Ibimet-Cnr di Firenze, abbiamo rivolto alcune domande.

A cosa è dovuto questo improvviso decollo del fotovoltaico dopo diversi anni di posizioni di nicchia, soprattutto in Italia?

La concorrenza dell'evidenza condivisa dei cambiamenti climatici e l'aumento deciso e sostenuto nel tempo dei costi di estrazione del petrolio, riflessa nell'aumento dei prezzi, avvenuta tra la fine dell'ultimo decennio del secolo scorso e i primissimi anni di questo, hanno portato i paesi più avveduti e avanzati, come la Germania, ad accelerare la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili.

Questo a sua volta ha portato a un rapidissimo salto di scala industriale, quasi sorprendente nella sua velocità, con conseguente abbassamento dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita.

Il passo decisivo è però stato il cosiddetto "secondo conto energia", decreto ministeriale 19 febbraio 2007, che consentiva una diffusione quasi "selvaggia" delle installazioni fotovoltaiche, a fronte di incentivi inizialmente assai generosi. Fu una scommessa intesa ad allocare importanti risorse di capitale nel modo che allora parve il più efficiente possibile. La scommessa fu pienamente vinta, perché nel giro di tre anni i prezzi unitari dei moduli fotovoltaici diminuirono di due terzi, riflesso appunto della sterzata verso il basso dei costi di produzione.

In Italia, si passò da poche decine di MW a oltre 10 GW al volgere del decennio, fino ai circa 20 GW attuali: una espansione che nessuna fonte energetica aveva mai conosciuto prima. La spinta decisiva del mercato italiano, primo nel mondo per quasi tre anni, fu quella che consentì anche al resto del mondo di adottare la fonte solare in misura esponenzialmente crescente.

La maturazione della tecnologia e dell'industria fotovoltaica è stata tale da consentire al settore di resistere, soprattutto nei paesi emergenti, anche alla drastica riduzione degli incentivi e alla crisi del credito seguita alle vicende del 2008-2009, fatto particolarmente notevole in quanto per la fonte fotovoltaica i costi sono estremamente sbilanciati sul lato delle spese in conto capitale rispetto a quelle operative.

Tornando alla domanda, la risposta può sintetizzarsi così: consapevolezza della necessità di ridurre l'impronta di carbonio della generazione energetica e aumento dei costi di estrazione delle fonti fossili.

I costi del pannelli si stanno abbassando?

I costi dei pannelli fotovoltaici continuano a diminuire seppure ormai marginalmente, essendosi quasi stabilizzati intorno a 50 centesimi di dollaro al Watt, anche se circolano ottimi prodotti a costi ancora inferiori. Se si pensa che i prezzi erano intorno ai 7 dollari a Watt nel 2005, si ha un'idea di cosa è successo.

Contando su materie prime abbondanti, è verosimile pensare che la tendenza all'abbassamento dei prezzi possa continuare anche in futuro, ma c'è anche da considerare che il costo totale di una installazione FV non è fatta solo dai moduli ma anche da tutte le altre componenti: per questo, un grande parco FV nella Francia continentale, non certo il paese più assolato del mondo, grazie alle economie di scala può cedere l'energia a prezzi inferiori rispetto a quelli di una centrale nucleare, come abbiamo riportato nell'articolo.

La "chiusura del cerchio" per la tecnologia energetica fotovoltaica è poi data dall'accumulo, che la rende di qualità pari a quella delle fonti convenzionali: anche in questo caso, la "curva di apprendimento" delle batterie di diverso tipo è particolarmente ripida, per cui c'è da aspettarsi - come in alcuni casi favorevoli già avviene - che il costo complessivo dell'energia fotovoltaica "sempre disponibile" (cioè, previo accumulo) possa competere presto con il costo proprio delle fonti fossili più economiche, delle quali tuttavia - è bene ricordare - si trascurano sempre i costi "esterni" per inquinamento dell'aria e del clima.

Facciamo un calcolo matematico: l’Unione Europea ha una superficie di 4 milioni di km2. Lo 0,6% che voi citate nello studio scientifico, appena pubblicato, equivarrebbe a 24 mila km2 Cioè i pannelli dovrebbero espandersi lungo una superficie che è grande come la regione Sardegna (24.090 km2). I Paesi dell’UE sono 27 e ad ognuno toccherebbe circa 900 km2 di pannelli (se si decidesse di agire non in maniera direttamente proporzionale alla grandezza della superficie delle nazioni). Che impatto ambientale ha un’ occupazione così importante sul territorio?

Prima di tutto, lo 0,6% è una stima per eccesso, in realtà le efficienze delle celle FV sono crescenti, quindi la superficie si riduce. In ogni caso, 900 km quadri significa 90mila ettari. Ebbene, in Italia dal 1971 al 2010 sono stati persi oltre 5 (cinque) milioni di ettari di superficie agricola utilizzata (SAU), come evidente dal grafico in allegato. E chi sa quanti ancora negli anni successivi. Anche fermandoci al 2010, la velocità di perdita della SAU è stata di 125mila ettari all'anno, quindi ben superiore al dato di 900 km quadri.

Da osservare che il totale della SAU persa in 40 anni soltanto in Italia è più che doppio rispetto alla superficie stimata per l'intera UE relativamente all'installazione di parchi fotovoltaici, e tutto questo trascurando il fatto che una frazione importante delle installazioni è (e sarebbe) realizzata sull'edificato - tetti, volte di capannoni commerciali e industriali, parcheggi, autostrade, ecc.

Infine, il terreno "occupato" da impianti fotovoltaici non è affatto compromesso, anzi offre un ambiente ideale per il ripristino della produttività dei suoli, soprattutto nelle aree più calde e soggette a fenomeni erosivi e di desertificazione. In più, non sono poche le esperienze di successo di conduzione della pastorizia, prevalentemente ovina, all'ombra dei pannelli fotovoltaici.

A chiosa di tutto questo, possiamo menzionare quanto riportato nell'articolo: considerando le aree complessivamente occupate dalle fonti tradizionali, dall'estrazione al trasporto e alle centrali (si pensi ai gasdotti, agli oleodotti, oppure alle miniere a cielo aperto del carbone), spesso le superfici occupate da impianti fotovoltaici sono perfino minori a parità - attenzione - di energia elettrica prodotta, per non parlare a livello di potenza nominale.

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