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Venerdì, 29 Mar 2024

Mai, come nella campagna elettorale conclusasi da meno di una settimana, si è speculato sui pregiudizi e sugli egoismi di una parte dell'elettorato sempre più ignorante e chiuso in sé. Una classe politica mediocre, come non mai - tanto a destra quanto nel centrosinistra, a corto di argomenti e di progetti, dimentica del dettato dell'art.2 della Costituzione -  che,anziché promuovere solidarietà, equità e senso civico, preferisce fare promesse irrealizzabili e soffiare sui malumori della gente, esaltandone la grettezza.

E, allora, quale miglior arma di distrazione di massa per nascondere i propri fallimenti e ingraziarsi l'elettorato, se non colpevolizzare i migranti come fa, in particolare, la destra? Ma non meno censurabili sono le forze politiche di maggioranza, che nulla hanno fatto per portare in aula lo jus soli.

Ma le cose stanno davvero come ce le raccontano certi personaggi, i cui movimenti di appartenenza, in uno stato democratico (e, a maggior ragione, dove vige una Costituzione come la nostra), dovrebbero essere fuori legge?

Dalla lettura del recente Rapporto di Medici Senza Frontiere (Mfs) Fuori campo – Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale, frutto di un monitoraggio compiuto nel 2016 e 2017 in collaborazione con una fitta rete di associazioni locali, sembrerebbe che i migranti siano piuttosto le vittime e non i carnefici che alcuni politici ci additano.

Il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, al 31 dicembre 2017, è arrivato a 183.681 posti (i richiedenti asilo e rifugiati ospiti nella rete Sprar, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, erano 31.270), ubicati in strutture di accoglienza straordinaria (Cas) che, raramente, ricomprendono servizi finalizzati all’accompagnamento e all’inclusione sociale. Ove a ciò si sommino i tempi infiniti per l'ottenimento del riconoscimento del diritto di asilo o della protezione internazionale e umanitaria, si comprende perché la situazione sia così drammatica.

Di conseguenza, specie nelle grandi città e alle frontiere, prevalgono i cosiddetti insediamenti informali, ossia non gestiti da organismi pubblici (case occupate, baracche et similia). Vere e proprie “sacche di marginalità”, nascoste nelle periferie, frutto di sgomberi forzati dove “migranti e rifugiati vivono ... in una condizione di crescente paura e frustrazione, e con contatti sempre più limitati con i servizi territoriali, inclusi quelli sanitari”, anche se in possesso di un titolo di soggiorno o del riconoscimento dello status di rifugiato. Msf stima che “Sono almeno 10.000 le persone escluse dall'accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”.

E chi prova ad andare via, a fuggire dall'Italia per raggiungere la propria famiglia nel resto d'Europa, rischia la morte, come è avvenuto ai confini a 20 persone negli ultimi due anni, oppure di essere rispedito all'hotspot di Taranto (9.528, solo da marzo a ottobre 2016).

Il sistema di accoglienza è in sofferenza, sempre a causa dei tempi lunghi necessari (mediamente 307 giorni ma, in caso di rigetto della domanda, occorrono altri 10 mesi di attesa per la discussione dell'unico appello consentito) per l'esame delle richieste di asilo. A ciò va aggiunto il fatto che, a causa del “Regolamento di Dublino” e del fallimento della procedura di ricollocamento creata dal Consiglio Europeo nel settembre 2015, per trasferire in altri Stati membri i richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia, vi è un alto numero di migranti rispediti indietro dagli altri Paesi UE. Ma non basta, l'accoglienza del richiedente asilo avviene solo al momento della presentazione della domanda, per cui, fino a quel momento, il rifugiato non usufruisce di alcuna forma di assistenza.

In prima battuta, solo il 43% ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato. Del 40% che si appella, 7 su 10 ottengono l'asilo.

La direttiva 2013/33/UE prevede per i richiedenti asilo la possibilità di revoca dell'accoglienza solo in casi estremi, mentre il D. Lgs. n. 142/2015 consente di cancellare facilmente il provvedimento, cosa che avviene con frequenza alla minima protesta posta in essere nei centri di prima accoglienza; conseguentemente, sono molti coloro i quali restano privi di qualsiasi forma di assistenza. Né v'è da aspettarsi tempi migliori considerato che all'esame della Commissione europea vi è un pacchetto di misure che rivede tutta la materia e che, se approvato, limiterà fortemente la libertà di movimento dei migranti richiedenti asilo.

Comunque, la nostra legislazione di certo non è pensata per favorire l'accoglienza. Il D.lgs 267/2000 attribuisce al sindaco il potere di ordinanza in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di degrado o di pregiudizio del decoro, possibilità rafforzata dalla legge 48/2017, più nota come Minnniti-Orlando, che dà ampi poteri di sgombero di insediamenti informali di richiedenti asilo e rifugiati esclusi dal sistema di accoglienza istituzionale.

Insomma, un sistema di accoglienza tanto costoso quanto inefficiente che, al momento, ha solo agevolato la malavita. E sì perché, chi è in attesa di una definizione del proprio status, inevitabilmente finisce nelle grandi città, come Roma, o nei ghetti del casertano, della Capitanata o della Calabria, nelle grinfie dei caporali. Paradossalmente, proprio la denuncia di fenomeni di riduzione in schiavitù dei migranti è stata posta a giustificazione degli sgomberi di alcuni campi, come quello di Rignano Garganico.

Sono pochissimi i casi di smantellamento di insediamenti abusivi risoltisi con sistemazioni dignitose e l'avvio di progetti di inclusione, come avvenuto a Torino.

La mancanza di una residenza preclude l'accesso al servizio sanitario nazionale, inoltre, ad eccezione del Piemonte, tutte le regioni riconoscono l'esenzione dalla quota di partecipazione alla spesa sanitaria ai richiedenti asilo privi di occupazione solo per i due – al massimo sei – mesi successivi alla presentazione della domanda. Forti restrizioni vi sono per l'assegnazione del pediatra per i minori privi di permesso di soggiorno; in molte regioni è consentito solo l'accesso ai consultori, in altre, si assegna il pediatra solo se si è in possesso di codice fiscale. Ancora più difficile è l'accesso ai servizi sanitari per chi ha malattie mentali.

Se alle frontiere la situazione è al limite della sopravvivenza - anche a causa delle tante ordinanze dei sindaci sceriffi, non sempre e non solo di destra a trazione leghista, che impediscono persino alle associazioni di volontariato di assistere i migranti che cercano disperatamente di espatriare - non va meglio nelle grandi città. Roma, ad esempio, in base all'accordo Stato-Regione vigente, dovrebbe ospitare in strutture organizzate 11mila persone, invece si ferma a 9mila. Risultato: i più sono esclusi dall'accoglienza istituzionale e così vivono per strada o in stabili occupati senza acqua, luce e gas, spesso circondati da discariche abusive, infestate dai ratti.

Le occupazioni censite sono più di 100. Ma chi vive in questi contesti non ha diritto alla residenza anagrafica e, di conseguenza, all'assistenza sanitaria. Anche se l'amministrazione comunale con una delibera ha stabilito che a quanti si trovino in questa situazione venga assegnata una residenza anagrafica fittizia in “Via Modesta Valenti”, i municipi applicano il provvedimento in maniera discrezionale, rilasciando la residenza con tempi e richiesta di documenti diversi, spesso generando un corto circuito da cui non si riesce ad uscire.

Solo grazie ad associazioni di volontariato e realtà come Baobab, i migranti, anche quelli respinti da altri stati Ue o fuoriusciti dei centri di accoglienza per scadenza dei termini, ricevono assistenza e informazioni in merito alle procedure per la richiesta di asilo o di ricollocamento in altro stato europeo. Come se tutto questo non bastasse, si legge nel Rapporto – che la Questura di Roma concede solo 20 appuntamenti al giorno per la presentazionne della domanda di asilo. Inoltre, richiede un domicilio, tramite una dichiarazione di un privato o di un centro di accoglienza; un passaporto o la denuncia di smarrimento dello stesso; per la richiesta di relocation, è necessaria la presentazione di un certificato medico di “idoneità per la vita comunitaria”.

Né va meglio altrove. In Puglia, ad esempio, la regione ancora non si è dotata del piano immigrazione per il triennio 2016-18. Di conseguenza, vi sono strutture insufficienti, molte delle quali sono destinate ai lavoratori stagionali nelle campagne.

Insomma, siamo dinanzi ad una situazione paradossale dove, da un lato, le istituzioni (per paura di eventuali ripercussioni elettorali negative?) non danno risposte adeguate per favorire accoglienza e inclusione sociale, dall'altra, l'associazionismo che, se prova ad aiutare i migranti, rischia di essere accusato di favoreggiamento dell'immigrazione illegale, un reato per cui si rischiano cinque anni di reclusione e una multa di 15mila euro.

L'Ue, che pure ha dato il via a questa situazione con una propria direttiva del 2002, con ricerche recenti ha “identificato il rischio collaterale di ‘criminalizzazione dell'assistenza umanitaria’ nell'applicazione” della direttiva stessa.

In conclusione, a seguito della legislazione vigente e delle tante ordinanze sindacali, stiamo assistendo alla nascita del reato di solidarietà.

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