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- di Roberto Tomei
Continua il tormentato cammino delle “cattedre Natta”, l’ennesimo e per ora ultimo tentativo di far risultare attraenti i nostri atenei ai “talenti” esteri e nazionali.
Continua il tormentato cammino delle “cattedre Natta”, l’ennesimo e per ora ultimo tentativo di far risultare attraenti i nostri atenei ai “talenti” esteri e nazionali.
Se davvero fossimo capaci di usare saggiamente il debito, come consiglia il Fmi nel suo ultimo Fiscal monitor, non saremmo arrivati al punto di cumularne uno globale che supera il 225% del pil mondiale, due terzi dei quali – circa 100 trilioni – sono stati originati dal settore privato. Se poi la saggezza suggerita dal Fmi dovesse valere da oggi in poi, allora dovremmo cominciare ricordando che questa montagna di obbligazioni non pesa per tutti allo stesso modo, anche se tutti saremo chiamati a pagarne le conseguenze.
E’ questione di giorni, se non di ore, per conoscere i risultati della Valutazione della qualità della ricerca (Vqr) per il quadriennio 2011-2014, effettuata dall’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), ente pubblico vigilato dal Miur.
Con sentenza n.324 del 2 novembre 2016, la Corte dei conti della Toscana ha condannato quattro docenti del Dipartimento di Chimica organica dell’Università di Firenze, in quanto ritenuti responsabili di un danno all’amministrazione di appartenenza, quantificato in oltre 150mila euro.
Per quanto ormai avvezzo ai continui cambi di fronte di chi prima diceva una cosa e poi arriva a sostenere il suo contrario, leggo un filo divertito il capitolo dell’ultimo Global finance stability report del Fmi, dove si discorre del potente emergere della finanza non bancaria, nei mercati internazionali, e del suo rapporto con le politiche monetarie, che in qualche modo hanno favorito e in qualche altro se ne giovano adesso. E scopro così che la finanza non bancaria, che contribuisce a quello che con dizione assai meno rassicurante si chiama shadow banking, oggi è divenuto addirittura un fattore di stabilità.
Della riforma in arrivo degli enti di ricerca Il Foglietto si è occupato più volte, sollevando forti perplessità, soprattutto in ordine ai profili delle risorse e del destino di ricercatori e tecnologi. Il nostro giornale ha dato altresì notizia, appena qualche mese fa, del fatto che del relativo schema di decreto legislativo si sono occupati anche i vertici degli stessi Epr, chiedendo qualche miglioramento, come l’esenzione Irap per il personale a tempo determinato e quella dell’Iva per le attrezzature di ricerca, l’aumento del finanziamento ordinario e l’abolizione del vincolo del 30% per il personale tecnico e amministrativo.
Il 4 novembre scorso è stato reso noto il parere n.2303/2016 del Consiglio di Stato sulle tanto discusse “cattedre Natta”, il Dpcm in gestazione del governo in carica, finalizzato a rendere “attrattiva e competitiva” la nostra ricerca, nient’altro che l’ennesima puntata della “chiamata diretta”.
A quasi un anno e mezzo dalla sentenza (n.178/2015) della Consulta - che a luglio 2015 dichiarò l’incostituzionalità del blocco dei contratti del pubblico impiego, fermi al 2009 - non si riesce ancora a vedere una via d’uscita.
Uscita in ginocchio dalla guerra e dopo venti anni di dittatura, l’Italia riuscì nel 1947-48 a darsi una Costituzione, a tutt’oggi ancora in gran parte vigente. Essa fu il risultato dell’incontro tra i seguaci delle tre ideologie che si erano opposte al regime, ossia l’ideologia marxista, quella liberale e quella cattolica. Al di là delle divisioni e degli steccati, si raggiunse allora, almeno tra i protagonisti più riflessivi, un idem sentire intorno a un minimo di progetto unificante, che poté realizzarsi grazie al “compromesso costituente”. Una “unità” che ”ha tenuto aperto un campo di aspettative di reciprocità nella gestione del durissimo conflitto politico” (Dogliani).
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