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Sabato, 20 Apr 2024

Per le generazioni che ci hanno preceduto, Rosatello era, semplicemente e inequivocabilmente, un vino. Né bianco né rosso, soprattutto fresco d’estate, era e rimane un ottimo bicchiere. Oggi, nella versione latinizzata (Rosatellum), è un calice amaro, destinato a essere propinato non solo ai bevitori ma a tutti gli elettori.

Mattarellum, Porcellum e, ora, Rosatellum. E’ l’ultimo distillato delle Camere, che meglio di questo non hanno saputo fare. Tempo ne avevano e paletti pure, cioè quelli messi dalla Corte Costituzionale che, evidentemente, non sono bastati. Come dimostrato dai risultati del recente referendum, nota doveva essere anche l’allergia dei cittadini verso maldestri espropri della sovranità popolare, da attuare con candidature plurime e liste bloccate. Ma anche qui, le Camere più “sorde” non avrebbero potuto essere.

Da Orazio in poi, si ripete che a tutto c’è un limite e che ci sono confini oltre i quali si esce dal giusto. Col Rosatellum, questi confini sono stati abbondantemente superati.

La legge elettorale, dicono i costituzionalisti, in quanto contiene le regole del gioco, deve essere espressione del più largo consenso possibile, mentre qui per ottenerlo, il governo ha messo la fiducia. Non solo. Al di là dello strappo alla procedura, che non è poca cosa, poiché la forma è sostanza, è la stessa ratio legis che lascia perplessi, dato che col Rosatellum, anziché restituire lo scettro ai cittadini, si eleva un baluardo a difesa dei partiti, che si assicurano un Parlamento di nominati, un esito notoriamente sgradito al popolo. Che sarà pure bue, ma non merita che addirittura gli si faccia una legge contro, con l’effetto di scoraggiarlo dal recarsi alle urne, tanto più che questa voglia da tempo mostra di non averla più. A meno che non sia proprio questo ciò che si vuole, così a votare ci vanno soltanto gli iscritti ai partiti, ormai ridotti al lumicino.

In tutto questo c’è, però, un fatto nuovo: il voto espresso nell’uninominale viene conteggiato anche per eleggere i candidati nel proporzionale, naturalmente nelle liste collegate al primo. Che è come mischiare le pere con le mele, perché i sistemi (uninominale e proporzionale) sono alternativi, non compatibili. Il che vuol dire che, quanto meno su questo punto, l’incostituzionalità non è all’orizzonte ma dietro l’angolo. Della complessità del nuovo sistema elettorale si è avveduto persino il legislatore stesso, che, con alto sprezzo del ridicolo, ha adottato due accorgimenti: l’introduzione nella scheda elettorale delle “istruzioni per l’uso” e la creazione di esperti, per risolvere i dubbi degli scrutatori e aiutarli nella proclamazione dei risultati. Cose mai viste.

Magari siamo fuori tempo massimo o, più probabilmente, nessuno ci darà ascolto, però anche noi qualche novità vorremmo proporla. Qui e ora ce ne vengono in mente due: 1) l’introduzione nel seggio della VAR, che già si sta rivelando utile nel calcio, così se l’elettore vota male lo si corregge subito; 2) se non bastasse, l’introduzione di una corte o un consiglio o un comitato, ma va bene anche un’authority, che dica l’ultima parola su eventuali dubbi o decisioni errate degli esperti, un organo magari da inserire in Costituzione con un paio di votazioni lampo, proprio come avvenuto per il pareggio del bilancio al tempo di Monti premier.

Scherzi a parte, vien da pensare, con Heidegger, che “ormai solo un dio ci può salvare”. Se qualche tempo fa avevamo maturato la convinzione di non essere più riformisti, ora ci sentiamo addirittura conservatori. Come Sciascia, nel senso che vorremmo ”conservare il meglio”. Anche se non sappiamo più dove trovarlo perché, a differenza del governo, abbiamo perso ogni fiducia.

Questo Rosatellum, insomma, proprio non ci piace. Ma non siamo astemi. Abbiamo pensato così di acquistare una buona bottiglia di Rosso, tipo Piceno Superiore. Un paio di bicchieri e, considerata l’alta gradazione, per qualche ora non ci pensiamo più. Nel Palazzo forse non ci crederanno ma, a sentire in giro, sono tutti d’accordo con noi.

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