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Venerdì, 19 Apr 2024

Fino a prova contraria. Tra gogna e impunità, l’Italia della giustizia sommaria di Annalisa Chirico, Editore Marsilio, Venezia, 2017, pp. 174, euro 12.

Recensione di Roberto Tomei

Azzeccato nel titolo, ampiamente documentato e scritto con stile asciutto e accattivante, il libro che qui si presenta si legge tutto d’un fiato, quasi lasciandoci il dispiacere che sia finito.

La tesi sostenuta dall’autrice è che in Italia stiamo vivendo in una juristocracy, neologismo coniato dagli studiosi anglosassoni per indicare il passaggio di poteri dalla politica, democraticamente eletta, ai tecnici del diritto, avvocati ma, soprattutto, magistrati, onnipresenti nelle istituzioni ma anche nei partiti. Questa nostra “repubblica giudiziaria”, ormai fuori dallo Stato di diritto, presenta, secondo la Chirico, “la forma di un triangolo: i tre vertici sono il pm che benedice l’inchiesta, il quotidiano di riferimento che agisce da grancassa mediatica e un partito – che vorrebbe spacciarsi per non partito – intento a sventolare le veline nelle piazze e nelle aule parlamentari”.

Da qui in poi, ce n’è per tutti: in particolare, per i magistrati, ma anche per i politici e i giornalisti, perché mai saremmo arrivati a questo punto senza una tacita alleanza fra queste categorie, fermo restando che ciascuna di esse ha agito sempre e comunque soltanto in cerca del proprio tornaconto. All’origine dell’evoluzione/involuzione del sistema ci sarebbe ”l’equazione giustizia=politica: l’intreccio incestuoso tra chi applica la legge e chi quelle leggi le fa ha sovvertito le regole democratiche”.

La politicizzazione della giustizia non è fenomeno recente, sicché l’autrice giustamente dedica parte della sua inchiesta all’evoluzione di Magistratura Democratica, rilevandone gli errori ma anche riconoscendone i meriti, quale formidabile fucina di elaborazione culturale e avanguardia d’un garantismo poi, purtroppo, perso per strada; nel contempo, sottolinea come il nostro sia “l’unico paese al mondo dove ben due magistrati hanno fondato un partito per candidarsi alla guida dell’esecutivo e un magistrato in aspettativa pretende di candidarsi, e si candida, alla guida di un partito”.

Ma molte altre sono le anomalie del nostro sistema: da quella, ormai classica e alla quale ci siamo assuefatti, dei magistrati che si schierano nell’agone politico, dimenticando il dovere di imparzialità, a quella dei giudici moralisti, che hanno avuto il momento di massimo fulgore con l’inchiesta Mani Pulite.

Con i giornali che fanno la loro parte, dando grande risalto alle condanne e riservando uno spazio minimo alle assoluzioni. Per tutti, l’autrice cita il caso - riportato proprio dal nostro Foglietto - occorso a Enzo Boschi, relativo alla condanna inflitta a quest’ultimo per il sisma di L’Aquila, alla quale venne dato uno spazio enorme dal Corriere della Sera che, viceversa, riservò un misero trafiletto all’assoluzione definitiva con formula piena del famoso sismologo.

Nell’ambito di questa politicizzazione della giustizia, il libro spiega anche come mentre alcune toghe perseguono obiettivi politici con mezzi giudiziari, si debba, dall’altra parte, prendere ormai atto dell’avvento di una classe politica non solo “inetta e screditata” ma anche troppo incline a strumentalizzare all’occorrenza avvisi di garanzia e arresti preventivi allo scopo di contrastare gli avversari. E’ la giustizia che si fa politica, attraverso il populismo giudiziario, da qualche tempo protagonista nelle piazze e, di riflesso, sui media. Ma la “Giustizia è Politica” anche perché l’una lascia all’altra il compito di riempire, attraverso “sentenze creative” che fanno legge, vuoti normativi su questioni delicate come matrimoni gay e fine vita.

Sta di fatto che, al punto in cui siamo arrivati, l’equilibrio tra i poteri dello Stato è saltato da un pezzo, con buona pace di Montesquieu. Un’inversione di rotta, che significa nient’altro che ritorno alla normalità, potrà avvenire, secondo l’autrice, soltanto attraverso il ritorno del primato della politica, innanzitutto mettendo in sicurezza i capisaldi dello Stato di diritto, troppo spesso sacrificati sull’altare del fanatismo punitivo. L’auspicio, dunque, è che torni presto una “politica credibile”, alla quale poter nuovamente affidare le sorti del paese.

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