Stavo arrotando l’urlo di dolore quando ho saputo che Eurostat stava per rilasciare i dati sull’aumento notevolissimo dei lavoratori in povertà. Mi ricordavo, infatti, che noi italiani abbiamo assicurato una performance niente male, di sicuro aiutati dall’andamento soddisfacente del nostro costo del lavoro, che anche oggi ci regala ampie soddisfazioni.
Lo so che è scritto piccolo, ma fidatevi: nel quarto trimestre 2017 è sceso dello 0,2%, contribuendo sicuramente ad alimentare la nostra spettacolare crescita dei redditi.
Dicevo, mi stavo preparando ad arrotare l’urlo di dolore, pronto a squadernare la difficile condizione di componente di una famiglia monoreddito con prole che bordeggia con gioia lo scoperto di conto corrente, quando improvvisamente Eurostat ha pubblicato questo grafico:
Ora non è tanto avere la conferma che in Italia più di un lavoratore su dieci versa in condizioni di povertà a mi manda in confusione: lo sospettavo. Quanto scoprire che i lavoratori in povertà sono più numerosi in Lussemburgo che da noi: addirittura il 12%. Peggio stanno solo in Spagna, Grecia e Romania. Il Lussemburgo, capite?
Dovrebbe chiamarsi Lussomburgo, altroché. Non ci credete. Vabbé: vi do una dritta. Sapete quant’è il salario minimo lassù?
Ripetete con me: millenovecentoventitré euro al mese. Chiudete gli occhi e adesso visualizzate il reddito medio italiano (il salario minimo manco esiste da noi perché siamo pudibondi).
I dati sono vecchiotti, ma non state a preoccuparvi, la situazione non sarà cambiata granché, anzi, forse, è peggiorata. In sostanza, il nostro salario medio somiglia alla paga minima dei poveri lavoratori del Lussemburgo. Eh, direte, ma chissà quanto costa la vita laggiù. Ve lo dico io.
Un 20% scarso in più (dati 2017) a fronte di uno stipendio medio che è quasi il doppio. Pensa che vitaccia che fanno i lavoratori poveri in Lussomburgo.
Beati loro.
giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer