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Venerdì, 29 Mar 2024

Ci avevano spiegato che il numero dei morti si sarebbe abbassato dopo l’appiattimento della curva dei contagi. Ma di tempo ne è passato molto. La curva si è appiattita (nemmeno troppo) e i morti rimangono tanti, un numero impressionante a cui ci si viene mestamente abituando.

Si tratta di un segno dei tempi di incontrovertibile e funesto significato. Poco importa se siamo i primi o i terzi al mondo. Resta il fatto tragico che abbiamo superato la boa degli 80.000 morti (in realtà sono stati molti di più perché, nella prima ondata soprattutto, moltissimi malati sono deceduti a casa, senza tampone) e i dati Istat parlano di più 84.000 decessi, in netta eccedenza (come numero complessivo) rispetto a un passato recente.

Questo significa che la pandemia, oltre ai morti ammazzati per il virus, miete vittime “non covid” a causa del peggioramento delle condizioni sanitarie complessive, determinato dallo stress indotto sulle stesse dalla prova terribile imposta dal tentativo (malriuscito) di contenere i danni prodotti da questa pestilenza.

Ora, tralasciando l’argomento quasi risibile dell’età media di vita più alta nel nostro paese che quantitativamente è ben lungi da spiegare la differenza di letalità con altri paesi, come la Germania ad esempio (la nostra vita media è solo di un paio di anni superiore a quella tedesca); tralasciando anche la modalità di classificazione nosografica delle cause di decesso che dovrebbero denotare una perversa attitudine a nascondere i decessi per Covid da parte degli altri Paesi, alla quale non credo neanche un po’; rimane il fatto che da noi ci sono più morti perché evidentemente i nostri standard di cura e di tracciamento sono inferiori a quelli di altri Paesi.

È questa la durissima verità che non viene gridata con la necessaria energia nemmeno da quel che resta di una residuale Sinistra che appare attonita, afasica e aprassica sia nella denuncia del triste primato, sia nella disamina delle sue ragioni e ancor più sul piano delle possibili, concrete, proposte correttive.

Chi scrive, pur essendo medico (internista e geriatra) e lungamente coinvolto nella direzione di una struttura sanitaria complessa, non coltiva alcuna suggestione corporativa; ciononostante non ha alcuna esitazione a sostenere che la qualità professionale dei medici e degli infermieri, collocati nei vari gangli del sistema sanitario nazionale, non ha nulla da invidiare a quella di colleghi di altri Paesi. Né tantomeno si può dubitare della dedizione dimostrata, visto il numero elevatissimo di decessi registrati nel personale sanitario.

Se ne deduce che il problema è di fondo: è strutturale. E anche in questo caso l’analisi che ne scava e ne porta alla luce le ragioni non presenta particolari difficoltà.

Due aspetti sono di accecante evidenza. Da un lato, lo stato di deperimento di un sistema ospedaliero sottoposto a tagli dissennati che ha mostrato soprattutto all’inizio della pandemia una carenza di posti letto e di personale, specie in terapia intensiva, che non è azzardato definire scandalosa. Dall’altro, la condizione penosa della medicina territoriale che qui mi limito a citare rapidamente ma meriterebbe uno studio approfondito che, evidentemente, non interessa nessuno.

Devo dire neanche la Sinistra (lo ammetto anche autocriticamente) che per anni si è occupata quasi solo di super-ticket e di liste d’attesa, senza accorgersi della mutazione antropologica subita dalla medicina e dalla Sanità, ridotta sempre di più a una realtà ameboide e tecnocratica, pronta a essere plasmata a seconda delle esigenze del privato e del profitto.

La marginalizzazione dei distretti sanitari, il ruolo e il contratto vetusto dei medici di medicina generale, lo spiaggiarsi della prospettiva delle cure a domicilio, lo stato penoso delle RSA, a partire dalla inadeguatezza delle tariffe e dagli organici previsti, palesemente inadatti a governare una realtà ormai divenuta di supplenza ospedaliera e non di supplenza delle cure a domicilio, come avrebbe dovuto essere.

In passato, ho provato ad approfondire queste realtà, facendo tesoro della mia esperienza, con libri dal titolo che mi pare inequivoco come La Medicina è malata o La Strage degli innocenti. Ma si è trattato, ahimè, di una fatica quasi inutile. Così come ho tentato, in queste settimane, di proporre un progetto emergenziale per migliorare il nostro approccio clinico al covid.

Devo dire che, fino ad oggi, a prestare attenzione alle mie proposte ho trovato solo due testate online: Lavoro e salute e Il Foglietto della Ricerca. Ma chiaramente non basta. Non può bastare.

Io non credo che il mio progetto sia la panacea o che sia libero da limiti e difetti. Dico semplicemente che se ne dovrebbe almeno discutere a Sinistra. Non certo perché l’ho scritto io ma perché parte dalla constatazione di alcune drammatiche realtà che denunciano la natura di classe della nostra Sanità, entro la quale il privato è venuto assumendo un peso preponderante.

Mai come in questo momento appare chiaro che la tardività delle diagnosi, la sostanziale assenza di cure a domicilio (non possono bastare le telefonate dei curanti), il numero ridicolo delle Usca disponibili sul territorio, le nebulose che esistono sulla necessità di una terapia precoce (non basta “aspettare e vedere che succede”: Tachipirina e basta), l’inesistenza di un tracciamento decente, tutto questo nell’insieme costituisce un combinato disposto pericolosamente patogeno, responsabile di consegnare agli ospedali, in gran numero, pazienti già gravi che – specie in presenza di comorbilità, ma non solo – spesso non sono recuperabili e recuperati, nonostante il prodigarsi di medici e infermieri.

La prospettiva della vaccinazione di massa, del resto, non è dietro l’angolo e se non interverremo al più presto saremo costretti a seppellire ancora decine di migliaia di persone.

Ed è del tutto inutile fare scongiuri, se il ritmo dei decessi continuerà a contare circa mille persone ogni due giorni.

Una notazione ulteriore riguarda il fatto che i decessi, come sempre accade, non sfuggono alla regola infame che vede soccombere di più e più facilmente chi è socialmente meno protetto. Le ragioni sono intuitive e dimostrate dal numero ormai cospicuo di uomini potenti, anche anziani in sovrappeso e malandati, che la pelle l’hanno salvata e non per caso.

E allora, di fronte a tutto questo non può bastare la dedizione e la sobrietà del ministro della Sanità, non può bastare il distanziamento e nemmeno il vaccino. Tutte cose necessarie, indispensabili, ma drammaticamente non sufficienti.

È tempo ormai di mettere mano, mentre si interviene sull’emergenza, agli antefatti di una finalmente nuova riforma sanitaria, che richiami i principi di quella del ’78 ma li adatti alla realtà di un mondo rovinato, consumato, reso altamente patogeno dalla globalizzazione neoliberista, da un capitalismo che ormai non può più nascondere le sue responsabilità e la sua intrinseca debolezza.

Il Re è nudo e la Sinistra, se ancora sopravvive in qualche modo, non può chiudere gli occhi, se non diventandone complice.

P.S. Chiunque, una volta letto il progetto, in spirito costruttivo, abbia osservazioni da fare, o abbia modo di favorirne la diffusione e la discussione, può scrivermi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Roberto Gramiccia
Specialista in Med. Interna e Geriatria, già Direttore sanitario di Struttura complessa territoriale
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