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Giovedì, 18 Apr 2024

L’Angelo di Monaco, di Fabiano Massimi, Editore Longanesi - Collana: La Gaja scienza, Febbraio 2020, pp. 496, euro 18.

Recensione di Adriana Spera

Per molti, i libri gialli sono letteratura di seconda classe, ma non sempre è così, come hanno dimostrato anche alcuni nostri illustri autori, su tutti Andrea Camilleri e l’Umberto Eco de Il nome della rosa.

L’Angelo di Monaco – uscito purtroppo alla vigilia del lockdown, altrimenti meritava ben altra eco – non è un semplice thriller, dietro si capisce che c’è stata un’approfondita ricerca storica (chissà, forse sollecitata anche dalla lettura del libro Munich di Robert Harris), come dimostra la ricca bibliografia in calce al volume. Ma non basta, è anche analisi della psicologia delle masse, in questo caso di come la gran parte del popolo tedesco cadde nella trappola del nazionalsocialismo (un po’ come gli italiani nel fascismo).

Delusi e impoveriti dagli esiti della I^ guerra mondiale, molti credettero ciecamente all’uomo della provvidenza che – pure grazie a tante complicità nel mondo economico-finanziario, nella burocrazia, nella polizia e nella magistratura – il 30 gennaio 1933 riuscì ad assumere la carica di Cancelliere, anche se la gran parte della popolazione fu complice di malavoglia e, o per opportunismo o per paura, almeno all’inizio dell’ascesa, fece finta di non vedere.

Nei personaggi ritroviamo, tra mille colpi di scena, tutta questa gamma di posizioni.

Insomma, un’opera che porta ad interrogarsi sul fascino del male sui popoli, a riflettere sui suoi meccanismi di diffusione e di radicamento, lenti ma inesorabili, nelle folle. Dinamiche più che mai tornate in auge non solo nel nostro paese ma nell’Europa tutta e persino nella “democratica” America.

Questa è la storia dell’apparente suicidio della nipote prediletta di Adolf Hitler – ma forse dovremmo dire più una concubina, nel senso antico del termine, che in cambio di qualche agio è disposta a convivere in uno stato di sottomissione allo zio – Angela Maria Raubal, detta Geli.

Il senso ultimo del libro, rendere nota la storia dimenticata di una delle prime vittime del nazismo, un omicidio che, se si fosse fatta piena luce, forse poteva fermare la corsa di Hitler al Cancellierato e, con essa, i milioni di morti e distruzioni della II^ guerra mondiale.

Siamo negli anni dell’ascesa del leader del Partito nazionalsocialista dei lavoratori; Hitler con la sua politica contro gli ebrei accusati di essere la causa della recessione che affligge l’economia mondiale e con i metodi squadristici dei suoi seguaci, infondendo paura e insicurezza nei tedeschi – un clima che ricorda quello che viviamo oggi - si sta rafforzando ogni giorno di più e marcia spedito verso quella dittatura che portò ad orrori mai vissuti nella storia dell’umanità.

La morte dell’amata nipote poteva condurre alla scoperta del rapporto incestuoso che aveva con la giovane e quindi alla fine della sua ascesa politica, ecco perché l’indagine deve essere breve e certificare l’ipotesi del suicidio per un motivo risibile: il timore di fallire come cantante lirica.

Le perversioni indicibili del futuro dittatore, la sua passione per le adolescenti erano note al suo movimento, che sembra avergli imposto dal 1932 come compagna Eva Braun, quasi una copertura ben accetta dal partito, che invece non vedeva di buon occhio Geli che, tra l’altro, aveva anche sangue ebraico. Ognuno di quelli che avevano conosciuto Geli, la descrive in modo diverso, come se ne esistessero diverse versioni, ma in molti dichiarano di amarla, una ragazza troppo vivace e indipendente per i canoni femminili del nazismo.

L’incipit potrebbe essere la frase «La storia non la scrive chi vince ma chi sopravvive. Anche gli sconfitti, prima o poi, trovano voce».

Invece, voce non si volle dare, tutt’altro. Nel libro più di un testimone muore “suicidato”, si susseguono depistaggi, autopsie inesistenti e messinscene con un ritmo incalzante e nessuno dei personaggi coinvolti si capisce da che parte stia, se da quella della giustizia o da quella dei nazisti.

Dagli atti della vera indagine firmata dal Direttore della polizia di Monaco risulta che incaricati dell’indagine furono i commissari criminali Sauer e Forster, di cui non sono noti i nomi ma che, nella finzione narrativa, assumono rispettivamente quelli di Siegfried, detto Siggi, ed Helmut, detto Mutti.

L’autore costruisce due personaggi davvero particolari, agli antipodi, Sauer, alto e biondo, astemio e di poco appetito, scettico sui nazionalsocialisti ma discreto nell’esprimere giudizi; Forster, basso, grasso e moro, eccessivo in tutte le sue manifestazioni: beve, fuma e mangia molto, non perde occasione per manifestare il suo disprezzo verso i nazisti.

I due, fin dal primo momento, capiscono che si tratta di un caso particolare, il capo, Tenner, dice loro semplicemente che «Stamattina è stato rinvenuto un cadavere…Una donna, di razza germanica, sui vent’anni» (questo la dice lunga sul clima che già si respirava nel paese) - poi Tenner precisa che la ragazza viveva con un parente - «Un uomo che si sta facendo un nome …e che non vorrà vederlo compromesso da voci incontrollate su una tragedia avvenuta fra le sue mura domestiche. A voi ora non deve importare di chi si tratta. Quella che conta è la ragazza, la quale, come avrete immaginato, è morta in circostanze… non naturali». Perciò il caso va risolto entro… otto ore!

I due, solo una volta arrivati all’indirizzo indicato, Prinzregentenplatz numero 16, si renderanno conto di chi si tratta, «Tutti a Monaco, conoscevano quell’indirizzo. Il palazzo in cui abitava il leader del Partito nazionalsocialista dei lavoratori, Adolf Hitler».

Il libro Mein Kampf era già stato pubblicato e le basi ideologiche del futuro Terzo Reich erano già state gettate. Il concetto di razza si andava radicando tanto che l’Università di Monaco aveva istituito già da anni una cattedra di Igiene della razza.

Tutto sembra deporre per un suicidio, la ragazza si sarebbe sparata con la rivoltella dello zio, una Walther 6.35, ma la scena del crimine appare ai due commissari troppo perfetta, quasi preparata ad arte e per questo, Sauer, in particolare, si mette ad indagare, fino a scoprire la verità, nonostante i tempi stretti dettati dal suo superiore.

Il caso verrà riaperto e chiuso, ma tutto si svolge tra il 19 e il 25 settembre 1931, durante l’October fest, sette giorni in cui i nostri commissari faranno scoperte sconvolgenti, oltre ogni immaginazione, sulla vita privata e le abitudini, meglio sarebbe dire le perversioni, di Hitler e del suo entourage.

L’indagine viene narrata passo passo, sembra di sfogliare un dossier di polizia, con minuzia di particolari vengono esaminati tutti gli aspetti della vicenda.

Sauer, con un passato, presto rinnegato, di simpatizzante della prima ora del nazismo, è stato un SA (le squadre d’assalto, dette Sturmabteilung), viene incaricato per conto dello stesso Hitler, da Himmler, di condurre un’indagine parallela sulla vicenda ed ha così modo di incontrare tutti i gerarchi nazisti qui descritti con una minuzia particolare.

Ne viene fuori l’immagine di un gotha di personaggi perversi, un contro l’altro armato, da un lato, quelli intenzionati ad approfittare della vicenda e del conseguente scandalo per sostituire Hitler alla guida del partito e, dall’altro, quelli che, conoscendone tutti gli inconfessabili vizi, vogliono coprirlo.

Questo futuro gruppo di potere emerge in tutte le sue sfaccettature a rappresentare la capacità pervasiva e perversa del nazismo più come una filosofia di vita che un partito politico. Una filosofia in cui l’eros, in particolare per il suo leader, rappresentava un elemento di affermazione, distruzione e devianza, in altre parole di annullamento dell’individuo. Non a caso il personaggio più spietato è Reinhardt Heydrich il pianificatore e l’organizzatore della soluzione finale, ovvero lo sterminio degli ebrei.

Sullo sfondo, le città di Monaco e di Vienna negli anni ’30, con i loro principali monumenti - in particolare, l’Angelo della Libertà e la Chiesa di San Pietro, chiamata simpaticamente da Sauer il Vecchio Peter - descritti con una minuzia di particolari.

La storia di Angela Raubal riemerse anche durante il processo di Norimberga, alcuni gerarchi riferirono che quella fosse stata l’unica donna amata da Hitler e che la sua perdita lo avesse reso più crudele.

Al personaggio di Siegfried Sauer ben si addice una delle frasi del libro «Spesso gli uomini considerano chiuso ciò che si è aperto a malapena. Spesso, nella loro eterna ignoranza delle cose, gli uomini chiamano fine ciò che in realtà è solo l’inizio», infatti, la vicenda della morte di Geli gli cambierà, in tutto e per tutto, la vita: scoprirà l’amore ed, al contempo, come anche gli amici più stretti a volte non siano affatto quelli che appaiono.

La storia, pur con qualche concessione alla fantasia, si basa su un’accurata ricerca documentale da parte dell’autore Fabiano Massimi - bibliotecario presso la Biblioteca Antonio Delfini di Modena, laureato in filosofia a Bologna, dottorato a Manchester, consulente ed editor di alcune tra le maggiori case editrici italiane – è scritta in maniera coinvolgente, con un ritmo crescente, come un thriller, con un finale hitchcockiano, che ben si presterebbe ad una trasposizione cinematografica.

Qualche critico ha avuto da obiettare sugli evidenti, seppur pochi, elementi di fantasia inseriti dall’autore, d’altronde si tratta pur sempre di un romanzo. Come direbbe Mario Vargas Llosa: «Tutte le grandi opere dicono la verità, pur mentendo. Non si tratta di una verità oggettiva, ma di quella letteraria».

Quanto a Geli, scrive Massimi, "Per la sua morte non c’è stata giustizia. Forse un romanzo renderà giustizia alla sua vita".

Adriana Spera
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