Ci sono due modi per intendere la transizione ecologica, che portano a risultati apparentemente risolutivi ma ad effetti opposti.
Il primo modo poggia le sue fondamenta sul funzionamento degli ecosistemi e dei cicli naturali e percorre strade in aderenza alla natura ripettandone i limiti; il secondo modo è tecnocratico: pensare che la tecnologia risolva tutto e così cogliamo anche "occasione di sviluppo" misurato col Prodotto Interno Lordo.
Esempio: pensate a dover intervenire in un posto ove la gente si ammala e muore per cause ambientali. Una strada è individuare e rimuovere le cause che portano malattie, agendo alla fonte, magari con inevitabili provvedimenti dolorosi, nell'immediato, per l'economia. Altra strada, quella tecnocratica, è risolvere i problemi dotando, ad esempio, le abitazioni di apparati di filtrazione dell'aria, fare ricorso a cibi controllati prodotti in tunnel-serra in idroponico elettronicamente controllato… e se le persone si ammalano comunque, le riforniamo di una buona dotazione di pacemaker, bombole di ossigeno, più apparecchi di dialisi, turni di plasmaferisi... e potremo sentir dire: «abbiamo risolto i problemi! La gente vive ove prima moriva! E abbiamo coniugato ecologia ed economia! Azz, come siamo stati bravi!».
Ma intanto quella non sarebbe vita (al più, forse, sopravvivenza), ed è comunque una situazione fragile, perché dipendente dal buon funzionamento di una macchina, di un transistor, di uno dei congegni…
Conclusione: la tecnologia è solo una piccola parte della transizione ecologica, che è cosa molto più vasta, profonda e complessa, multidisciplinare, sociale, culturale… che richiede anche, e soprattutto, molta biologia dell'Ambiente e scienze naturali. Oltre ad una buona impostazione nel saper valutare la complessità.
Una foglia è assai più complicata di un circuito integrato. Un'automobile o un aereo sono assai meno complicati di un asino. La prova? Non sono capaci neppure di affezionarsi al pilota!
Giovanni Damiani
Già Direttore di Anpa e Direttore tecnico di Arta Abruzzo
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