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Venerdì, 29 Mar 2024

Il capitale finanziario oltre il capitalismo di Alessandro Valentini, Edizioni Punto Rosso, febbraio 2021 – pp. 353, euro 22.

Recensione di Adriana Spera

Nella sua ultima fatica, Alessandro Valentini – saggista, scrittore e poeta – riprende i suoi studi sull’opera di Karl Marx (e di Engels) chiedendosi se essa, alla luce del prevalere della finanza nell’economia capitalistica, sia sempre attuale oppure no. «Con questo mio lavoro – scrive l’autore – mi sono proposto lo scopo di dimostrare che le categorie marxiane, debitamente attualizzate, sono ancora valide per affrontare le contraddizioni della nostra società».

Ebbene, dalla lettura dell’opera di Valentini – quasi un trattato di storia economica e di storia delle teorie economiche, che merita di esser letto da quanti si interrogano su quale sia la via d’uscita da una crisi che attanaglia il mondo da quasi tre lustri e che è arrivata a minacciare persino la nostra salute – abbiamo la conferma di quanto l’economista di Treviri fosse lungimirante rispetto a quella che sarebbe stata l’evoluzione del capitalismo. Nei suoi scritti Marx, in alcuni passi, addirittura si dimostra preveggente.

Ad essere inadeguato per analizzare la realtà economica attuale, non è il pensiero di Marx ma, bensì, il pensiero marxista contemporaneo occidentale che non ha saputo elaborare una “teoria della trasformazione”, anche perché la sinistra quasi ovunque ha sposato quella che il nostro autore definisce “l’ideologia della democrazia”. Ideologia perché la democrazia è un sistema irrealizzato.

Occorre, invece, che la sinistra costruisca un “blocco storico per la trasformazione” partendo dalla questione del “mondo dei lavori”, senza dimenticare la questione ambientale, dalla conquista di un nuovo welfare pubblico che incida sul capitale per abbattere le diseguaglianze.

La crisi della sinistra deriva, in definitiva, dalla sua subalternità a un pensiero liberale pervaso da dottrine neoliberiste, espressione politica del dominio del capitale finanziario.

«Oggi occorrerebbe fare in Europa come Marx e Lenin – scrive Valentini – cioè ricostruire un nuovo soggetto politico (una partito pan-europeo della sinistra n.d.r) che sia in discontinuità con tutte le precedenti esperienze […] all’altezza delle drammatiche sfide che impone il capitale nel nuovo millennio. E per dirla con Gramsci, realizzare azioni di lotta coniugando dialetticamente visione di classe e iniziativa politica: azioni per ricostruire un campo vasto di lotta per la trasformazione».

Per il nostro autore, affinché il socialismo possa realizzarsi, «occorre un’idea nuova di Stato che abbia un ordinamento composto da un insieme di istituzioni e assemblee elettive, in cui la partecipazione sia valorizzata, intrecciando saldamente la rappresentanza con momenti forti di consultazione diretta».

Bisogna cambiare le ricette economiche propugnate a sinistra dai post-keynesiani, che rappresentano «un keynesismo rovesciato – il quale, piuttosto che sostenere il reddito per incrementare la domanda di beni, è – funzionale ad aumentare la domanda e l’offerta di denaro a banche e istituti finanziari privati. Misure che riproducono il meccanismo perverso del debito […] che soffoca e distrugge Stati e popolazioni».

Per il nostro autore, le ricette proposte da sinistra per risolvere la crisi che si trascina dal 2008, che consistono in un maggiore indebitamento pubblico per rilanciare l’economia, sono le stesse che l’hanno provocata. Infatti, il debito che, specie dopo il Covid, è in grande crescita in tutto il mondo rischia di determinare la bancarotta di molti Stati (compreso il nostro). Un’altra enorme bolla finanziaria che scoppiando andrà ad arricchire ulteriormente la finanza globale e ad impoverire i ceti meno abbienti.

Il libro, che l’autore ha terminato di scrivere il 1° ottobre 2020, pur con un’appendice sull’avvento del governo Draghi, presenta alcune riflessioni che, per alcuni versi, sono state superate dagli eventi degli ultimi mesi.

In particolare, il tentativo della diplomazia americana, a guida Biden, che, abbandonate definitivamente le prese di posizione di Trump, cerca di ricondurre l’Europa, dal punto di vista militare, sotto l’ala protettiva degli Usa rinserrando le fila della Nato e, dal punto di vista economico, di indurre l’Ue a recedere dagli accordi della Via della Seta con la Cina. Tentativo, quest’ultimo, assai vano, considerato quanto ormai l’economia europea e quella cinese siano interconnesse (come, peraltro, lo è quella americana con la Cina); non a caso il Covid è divampato da Wuhan nelle zone dove vi sono le sedi principali di imprese che hanno i propri stabilimenti di produzione in Cina. E poi l’asse franco-tedesco mira a condurre (e condizionare), come giustamente sottolinea Valentini, un’Europa indipendente economicamente e politicamente dagli Usa.

Un elemento indispensabile per il cambiamento è un’Unione europea che diventi una federazione di popoli e non l’attuale assembramento neoliberista sotto la guida del capitale finanziario franco-tedesco.

Un dato è certo, ormai il mondo va secondo i voleri del capitale finanziario, questo decide le sorti dell’economia reale, ne può determinare una crisi anche quando la produzione va a gonfie vele; siamo, insomma, dinanzi ad un’economia drogata dalla finanza, tanto più che si sono abbandonati quei “dispositivi di sicurezza” del sistema monetario mondiale stabiliti con gli accordi di Bretton Woods e i governi non possono o, meglio, non vogliono controllare i flussi di capitali, le speculazioni finanziarie, tanto più che le politiche (e i decisori politici) sono quasi sempre determinate – al di fuori delle sedi rappresentative delle assemblee elettive – dalla finanza e dalle banche centrali.

Marx aveva colto appieno che questo sarebbe stato il destino dell’economia capitalistica. Perché «il capitale finanziario si fonda – scrive Marx – non più sulla contrapposizione tra operaio e imprenditore, bensì su quella tra il capitale e gli individui “realmente attivi nella produzione”».

La riprova l’abbiamo nell’economia della globalizzazione finanziaria (per il nostro autore, la globalizzazione economica, con il sistema di scambi che comporta, di per sé non sarebbe un male se si fondasse su una base cooperativa piuttosto che competitiva) in cui le imprese sono espressione del capitale finanziario e sul fronte dl lavoro si vanno determinando nuove schiavitù, precarizzazione, polverizzazione della catena produttiva a livello territoriale con le delocalizzazioni. Insomma, è in atto quel processo di proletarizzazione che Marx ed Engels avevano previsto, tanto più grave in paesi, come il nostro, che da sempre esprime un capitalismo accattone e predatore.

Il capitale controlla non solo i mezzi di produzione ma anche l’informazione ed attraverso essa produce il consenso, pensiero unico. «In definitiva, – scrive il nostro autore – il capitale finanziario ha costruito un sistema strutturale complesso che ha risvolti nella vita politica, nel campo degli studi economici, in quello culturale, nelle istituzioni, creando sistemi a-democratici in nome della ideologia della democrazia».

Viceversa, a giudizio di Valentini, laddove vige il capitalismo monopolistico di Stato, come in Cina o in Russia, non ci sono le distorsioni prodotte dalla globalizzazione finanziaria perché chi detiene le leve della finanza non determina le scelte politiche. Un’opinione che non condividiamo e che è smentita dalle condizioni di vita spesso sotto la soglia di povertà della gran parte di quelle popolazioni, in netto contrasto con le ricchezza accumulate da pochi oligarchi o maggiorenti di partito.

Così pure, se concordiamo con l’analisi sull’imperialismo (che la sinistra dovrebbe riprendere) e del multipolarismo che vede protagonisti Usa, Germania e Giappone, dissentiamo dall’assoluzione che il nostro autore concede a Cina e Russia, la prima con l’acquisizione a livello globale di infrastrutture strategiche, di pacchetti di debito di altri stati e con il landgrabbing, ossia l’espropriazione di fatto di vaste proprietà terriere in Africa e Sud America; e, la seconda, con l’intervento militare in nord Africa stanno esprimendo anch’esse politiche imperialiste.

Su un punto siamo d’accordo, l’imperialismo è oggi espressione del capitale finanziario che si fa esso stesso Stato. Insomma, resta ancora valida l’analisi di Lenin che definì l’imperialismo “fase suprema del capitalismo” e le peculiarità che egli ne rilevava, su tutte, la nascita del capitale finanziario e della sua relativa oligarchia dalla fusione di capitale bancario e capitale industriale.

Un’oligarchia in grado di decidere i destini di intere nazioni e che a lungo andare può determinare conflitti bellici esiziali per l’umanità.

Adriana Spera
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