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Giovedì, 25 Apr 2024

Nelle scorse settimane non ha fatto notizia, soprattutto sui giornali di “lorsignori”, la proposta di legge contro le delocalizzazioni selvagge elaborata dai lavoratori in lotta della Gkn di Campi Bisenzio insieme a un folto gruppo di giuristi democratici. A me ha ricordato quando nel secolo scorso si discuteva nelle sedi del Pci con gli operai delle sezioni o cellule di fabbrica sugli articoli della legge 300 denominata Statuto dei diritti dei lavoratori.

Nella mia sezione di Cinecittà rammento bene gli incontri fra il nostro deputato Mario Pochetti e gli operai della Fatme, la puntigliosità di quei lavoratori che rappresentavano al deputato comunista le insidie possibili in alcuni articoli e i loro suggerimenti per modificarli. Quelle puntigliosità erano il frutto di un’esperienza vissuta che Pochetti assorbiva non passivamente ma discutendo con quegli operai.

A questa partecipazione e alle lotte operaie e popolari di allora si deve se lo Statuto - voluto fortemente anche dal socialista “ministro dei lavoratori” come voleva essere considerato Giacomo Brodolini - ha resistito per oltre mezzo secolo. Ed è grazie alle clausole dell’art. 28 se i lavoratori della Gkn hanno potuto godere della sentenza del tribunale di Firenze che annullava i licenziamenti ricevuti via mail dai dirigenti della multinazionale.

La proposta degli operai della Gkn – ma nella loro condizione ci sono anche i lavoratori Whirlpool a Napoli, Gianetti ruote di Ceriano Laghetto in Brianza e si teme per la Vitesco di Pisa e la Timken di Brescia - e dei giuristi che li hanno aiutati è senz’altro migliore di quella in elaborazione del governo. Lo è perché, senza alcuna demagogia populistica, nasce dall’esperienza vissuta di tanti lavoratori che si son visti all’improvviso messi sul lastrico da multinazionali senza scrupoli in cerca di profitti sempre maggiori facendo dumping salariale e normativo nei paesi europei ed extraeuropei.

Gli articoli previsti dalla proposta di legge degli operai sono otto. Ma quello più cogente è il 7, che recita. “L’eventuale cessione dell’azienda deve prevedere un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato e delle istituzioni locali. In tutte le ipotesi di cessione deve essere garantita la continuità produttiva dell’azienda, la piena occupazione di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dei trattamenti economico-normativi. Nelle ipotesi in cui le cessioni non siano a favore dello Stato o della cooperativa deve essere previsto un controllo pubblico sulla solvibilità dei cessionari”.

Sempre in tema di lavoro, pochi giorni fa, coperto dall’assordante cacofonia elettorale, Papa Francesco ha proposto “Un reddito minimo o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita” aggiungendovi la riduzione dell’orario di lavoro. “Nel XIX secolo – ha detto - gli operai lavoravano 12, 14, 16 ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di 8 ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora – insisto – lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro”.

Il problema del lavoro ha tanti risvolti, a cominciare dalla piena e buona occupazione da legare al Pnrr e agli investimenti e delle 18 forme di lavoro, fonte di precariato, da ridurre. Poi ci sono all’ordine del giorno la riforma degli ammortizzatori sociali, la Legge sulla rappresentanza sindacale legata alla contrattazione e all’eliminazione dei contratti pirata e al salario minimo e, fondamentale, la Legge su un nuovo Statuto dei lavoratori e altro ancora. Ce n’è materia sulla quale saldare l’alleanza progressista, sia come programma che come azione dentro al governo, nel parlamento e nel paese. Sarebbe questo un modo serio per selezionare le forze da aggregare nel “perimetro” di cui parla Letta, invece di almanaccarsi sul nuovo Ulivo, su Renzi e Calenda, cespugli e cespuglietti centristi e moderati e neoliberisti fuori tempo e fuori di testa.

Le elezioni di domenica scorsa, tra tanti risultati positivi per i progressisti e gli antifascisti, hanno portato alla luce non una mucca ma un elefante nel corridoio: l’astensionismo. Il popolo delle periferie sociali non ha votato. Forse la sinistra e il Pd di Letta per riportarlo alle urne sotto le insegne progressiste dovrebbero ascoltare gli operai della Gkn e Papa Francesco.

Aldo Pirone

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