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Venerdì, 19 Apr 2024

Nei giorni scorsi, da fonti di stampa si è appreso che il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, il 9 maggio scorso avrebbe dato il nulla osta alla pubblicazione della mappa delle aree candidate ad ospitare il Deposito delle scorie radioattive (nota con l’acronimo CNAPI, Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee). Mancherebbe, però, l’ok del cauto ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti e, quindi, anche questa volta non se ne farà niente.

Non sapevamo, noi ingenui poco esperti, che fosse necessaria un’ulteriore autorizzazione. Ci siamo sbagliati perché il 3 dicembre del 2017, rispondendo a un tweet del giornalista del Corriere della Sera Stefano Agnoli, Calenda affermò che la CNAPI sarebbe stata pubblicata prima delle elezioni del 4 marzo senza far riferimento al vincolo del ministero dell’ambiente.

Infatti, alla domanda:

03.12.2017 @stefanoagnoli: E che cosa accadrebbe se venisse pubblicata la famigerata Cnapi (deposito rifiuti nucleari) che elezione dopo elezione resta nel cassetto?

Carlo Calenda rispose:

03.12.2017 @CarloCalenda: La pubblichiamo prima delle elezioni

Questa più che decennale reticenza a pubblicare la Cnapi nasce dal timore di scontentare la gente che vive in prossimità delle zone potenzialmente idonee. Tutto sarebbe pronto alla Sogin per far partire la complessa operazione della costruzione del Deposito Unico se il potere politico facesse il primo passo: la pubblicazione della Cnapi. Siccome abbiamo spesso elezioni di varia natura e chi è al potere ha paura di perderle, da sempre si tende a rimandare.

Era abbastanza chiaro che, per il partito al governo il 4 marzo scorso sarebbe andata male comunque e, allora, tanto valeva pubblicare la Cnapi, così almeno una cosa utile poteva poi essere rivendicata.

In questi giorni, sembra che il ministro dell’Ambiente si sia messo di traverso alla pubblicazione. La cosa è sorprendente perché proprio il ministro dell’ambiente dovrebbe sentire fortissimo il dovere di sistemare in un luogo sicuro e definitivo le scorie nucleari attualmente sistemate qua e là, in maniera tutt’altro che ineccepibile.

Sembra che una nuova mappa delle zone sismogenetiche italiane apparsa alla fine di aprile sul sito dell’INGV sia stata la motivazione che ha consentito al ministero dell’ambiente di opporsi alla pubblicazione. Tale motivazione non è però definibile come pretestuosa: in linea di principio, infatti, si sarebbe potuto invalidare la Cnapi appena uscita, affermando che non teneva conto di sviluppi recenti nella conoscenza della sismicità italiana.

Per sopperire all’obiezione del ministro dell’ambiente, alla Sogin e all’Ispra probabilmente ci si sta affrettando a rivedere velocemente la CNAPI. Dopo insopportabili lentezze di anni e anni, assisteremo ad un’accelerazione improvvisa? Verrà tolto qualche luogo idoneo? Se così fosse, si fornirebbero ulteriori argomenti a coloro che protesteranno contro l’operazione. Improvvisazioni, anche solo apparenti, farebbero perdere credibilità a importanti strutture dello Stato. Sia chiaro che la situazione che si sta creando non è colpa della Sogin o dell’Ispra, che stanno cercando di svolgere al meglio il loro compito: tutto nasce dalla mancanza di una comunicazione tempestiva da parte dell’INGV.

Più o meno dal 2014, i presidenti pro tempore INGV hanno rapporti di collaborazione scientifica con la Sogin e, direttamente o indirettamente, anche con l’Ispra per l’analisi degli aspetti sismologici e vulcanologici del territorio. Pertanto, il presidente pro tempore di un ente di Stato dovrebbe programmare accuratamente le uscite pubbliche di risultati che possono influire su decisioni molto delicate di altri enti di Stato come, per esempio, due ministeri oltre alle già citate Sogin e Ispra, per non parlare poi del Dipartimento della Protezione Civile.

Gli studi che portano alla mappa delle zone sismogenetiche (nota con l’acronimo DISS, Database of Individual Seismogenic Sources) sono cominciati quasi trent’anni fa, agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso, in stretto collegamento con lo sviluppo di un Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (CFTI), il più completo possibile almeno per l’ultimo millennio. Studi che hanno una loro naturale evoluzione, determinata dal miglioramento delle banche dati e dei metodi di analisi, che si concretizza con la pubblicazione di versioni progressivamente aggiornate. Sono studi utilissimi per la ricerca e per la società.

Mantenere aggiornate le banche-dati è un lavoro molto impegnativo e di grande responsabilità. La grande professionalità con cui da decenni viene svolto è mostrata dal fatto che ogni versione è “sigillata”: non è possibile fare modifiche; per esempio, non si possono rimuovere informazioni che per qualche ragione non risultassero gradite. Ciononostante, coloro che vi si dedicano non sembrano particolarmente apprezzati dai vertici dell’Istituto, anzi, sembrano addirittura poco graditi e il loro lavoro è praticamente ignorato.

La prima pubblicazione ufficiale del DISS su rivista specialistica risale a più di dieci anni fa. Nelle scorse settimane, è uscita anche una nuova versione del CFTI (la prima è del 1995, altre sono del 1997 e poi del 2000) senza che venisse opportunamente pubblicizzata una notizia tanto importante. Insieme alla Mappa di Pericolosità Sismica, il DISS e il CFTI sono strumenti fondamentali per la ricerca, per la gestione delle crisi sismiche e per la prevenzione. Per importanza, sono paragonabili alla Rete Sismica Nazionale Centralizzata, quando funziona o viene fatta funzionare al meglio delle sue potenzialità.

Il non aver presentato preventivamente la nuova Mappa a coloro che per definizione sono di essa i primi destinatari appare incomprensibile. È un compito esclusivo del legale rappresentante dell’Istituto cui spetta la responsabilità della comunicazione ufficiale. Il fatto non dovrebbe passare sotto silenzio. E’ auspicabile che non si cerchi ancora una volta di addossare responsabilità a coloro che svolgono professionalmente il loro lavoro rispettando scadenze e impegni presi.

Su questi argomenti, anni fa, con il Dipartimento della Protezione Civile esistevano impegni stringenti, anche perché in caso di evento sismico di una certa rilevanza CFTI, DISS e Mappa di Pericolosità sono le cose che si consultano immediatamente. È diventato quasi automatico e non ci si fa più caso. Non dimentichiamo, però, che ci volle il terremoto dell’Irpinia del 1980 perché tutti si rendessero conto della necessità di strumenti simili. All’epoca le conoscenze della pericolosità e del grande rischio sismico del nostro Paese erano estremamente limitate. Il terremoto del 1980 fu devastante, anche in senso politico e culturale. Dopo di esso, si partì da zero, cioè dal capire quali informazioni fossero necessarie per ridurre il rischio.

Un gruppo di ricercatori si dedicò per anni a questi temi, temi fondanti per la Sismologia nazionale, con grande successo, anche se con scarse soddisfazioni di carriera. Il fatto che l’INGV abbia in questi giorni contribuito, anche se indirettamente, a far sì che un importante progetto nazionale, come la creazione del Deposito per le scorie, venga ritardato, pur avendo il meglio delle informazioni utili al problema, è motivo di grande rammarico.

È ormai chiaro che l’onere della pubblicazione della Cnapi verrà lasciato al prossimo governo. È stato sufficiente il tweet di Calenda perché si riaccendessero timori e preoccupazioni. In certi casi, chi occupa posizioni di alta responsabilità farebbe bene a limitare la logorrea twittiera per evitare di drammatizzare oltre il necessario il problema, tanto non possiamo sottrarci all’obbligo di stipare da qualche parte le nostre scorie nucleari.

In molti si chiedono: quanti e quali saranno i luoghi potenzialmente idonei? Perché tanti misteri? Con certezza, si sa che vi si è arrivati seguendo criteri stabiliti da Ispra: il Deposito, che occuperà in tutto un’estensione di poche decine di ettari, dovrà distare più di 5 chilometri dalle coste; ad una “distanza adeguata” dai centri abitati; un chilometro da autostrade o ferrovie; lontano da zone sismiche o facilmente alluvionabili; non sopra i 700 metri di altezza, e via dicendo.

Come abbiamo già raccontato sul Foglietto, a nostro avviso, nell’Italia continentale e in Sicilia non esiste un luogo simile. Basti pensare alla “distanza adeguata” dai centri abitati: quanto deve essere la “distanza adeguata” e da quale punto del centro abitato si misura? Qualunque centro abitato che non voglia il Deposito nelle sue vicinanze è chiaramente autorizzato, anzi incoraggiato, a stabilire una sua distanza adeguata per rifiutarlo. Si può aggiungere che le preoccupazioni dei Sardi sono fuori luogo. Possiamo ignorare le complicazioni di un trasporto per nave di grandi quantità di sostanze altamente pericolose? La necessità di trasportare le scorie via mare per lunghe distanze è ovviamente una delle condizioni di esclusione a priori. Quindi, la Sardegna è da escludere interamente.

In conclusione, con la procedura che si sta seguendo tutta Italia è da escludere. Ma il Deposito, piaccia o non piaccia, dobbiamo crearlo ...

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Sismologo Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana”
Premio Eureka 2012

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