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Lunedì, 29 Apr 2024

Se c’è un aspetto che caratterizza il nostro tempo è quello di esaltare gli specialismi tecnici e lasciare ai pochi, superstiti, maîtres à penser il compito di tracciare grandi affreschi del contemporaneo. I politici fra queste due sponde navigano a vista come possono e come sanno (male e poco).

Quello che mi propongo nel ragionamento che segue è rimettere insieme le due metà della mela: perché “vero è l’intero”, come diceva il filosofo. Lo è sempre stato e, a maggior ragione, lo è quando si parla di una spaventosa pandemia come quella nella quale siamo immersi.

Proverò, quindi, a mettere insieme alcune considerazioni di carattere generale, orientate a recuperare un punto di vista unitario e critico sulla crisi pandemica e le sue origini, sfruttando l’occasione per proporre, da geriatra internista (già direttore sanitario), un progetto (pubblicato a parte su questa rivista ma da considerare parte integrante di un unico ragionamento) che potrebbe aiutare a favorire un indispensabile cambio di rotta nella lotta al Covid, in attesa del vaccino.

Nel provare a intrecciare pratica e teoria, in fondo, non faccio nulla di più che seguire i consigli di uno dei più grandi clinici della nostra storia, Augusto Murri, il quale fece scoperte straordinarie in settori specifici della medicina, senza mai smettere di ribadire che: “Nullus medicus nisi philosophus” (non vi è medico che non sia un filosofo).

Ora, disgraziatamente, il paradigma che si è affermato negli ultimi decenni è esattamente opposto a quello indicato da Augusto Murri: dividere le grandi questioni (non solo mediche) in piccoli problemi da risolvere tecnicamente. Naturalmente questo approccio anti-olistico e iper-cartesiano non soltanto ha favorito l’affermazione di una medicina ultra-specialistica, affaristica e disumanizzante, ma è stato utilissimo per contribuire a neutralizzare le grandi visioni del mondo che si ispiravano a disegni di interpretazione e di trasformazione radicale della realtà.

Queste considerazioni generalissime mi consentono di non far cadere troppo dall’alto una riflessione. L’idea guida è che il capitalismo finanziario, sia nella variante globalista e ordoliberista che in quella sovranista e nazionalista, è stato letteralmente messo a nudo (come nella favola di Andersen) da questa terribile e mortifera pandemia internazionale.

Il covid una cosa almeno ha dimostrato con accecante chiarezza: la totale incapacità del capitale di tutelare gli interessi, non soltanto delle classi sociali più deboli ma anche della sua classe di riferimento: la borghesia.

Che questa fosse una realtà auto-evidente era chiaro anche prima della pandemia, per chi disponesse di un minimo di strumenti interpretativi, ma era aliena al senso comune dominante che considerava e considera l’attuale come l’unico sistema economico possibile, uno status immodificabile come il ciclo delle stagioni (capitalismo sive natura).

Ecco, la verità che la pandemia ha svelato è che il capitalismo va in direzione opposta rispetto alla difesa degli interessi generali e di quelli del pianeta e la cosa più rilevante è che non può non farlo per sua stessa natura.

Del resto, è nota la straordinaria capacità metamorfica di un sistema capace di reinventarsi per procrastinare all’infinito – crisi dopo crisi – il momento del suo definitivo redde rationem. L’infezione planetaria tuttavia, come accade a volta nella storia, ha fatto saltare il banco.

Ha mostrato che non è solo questione di caduta tendenziale del saggio di profitto. Una novità si è imposta all’attenzione: l’esplodere di nuove e più deflagranti contraddizioni. In particolare: quella capitale/salute e quella capitale/natura. Tutto questo ha prodotto non solo centinaia di migliaia di morti ma anche il venir meno delle condizioni che garantivano, nonostante la crisi, un’accumulazione capitalistica senza precedenti, capace di concentrare nelle mani di pochissimi ricchezze smisurate, abbandonando al proprio destino il resto del mondo.

Ecco, si può dire che questa “pestilenza” ha rotto le uova nel paniere alle micro-oligarchie dominanti, non solo dando un colpo tremendo ai mercati finanziari ma anche, simbolicamente, mettendo a repentaglio la salute di alcune figure altamente rappresentative di questo sistema. Da Johnson, a Trump, a Bolsonaro, a Berlusconi, oggi anche a Macron. La livella del Covid si è abbattuta su tutti, anche se non con la stessa precisione salomonica di quella di Totò.

Rimane, tuttavia, la clamorosa evidenza di un’incapacità del sistema di cui siamo vittime non solo di prevedere un accadimento prevedibile ma anche di gestirlo decentemente per contenerne i danni. Il taglio generale di questa riflessione mi consente di sorvolare su un giudizio – che non potrebbe che essere fortemente chiaroscurato – relativo all’attuale governo. Così come rende quasi superfluo richiamare la perniciosità incalcolabile dei tagli assestati alla Sanità pubblica in questi decenni, anche da governi di centro sinistra.

Volutamente vorrei limitarmi a sottolineare, con la massima energia possibile, che l’occasione fornita dalla pandemia di mettere in discussione l’attuale sistema dominante, e di dimostrarne la vera natura, è più unica che rara: è imperdibile.

Come può un dispositivo globale che, nonostante l’enorme potere di cui dispone, non riesce a difendere nemmeno se stesso porsi e imporsi come unico arbitro della sopravvivenza del pianeta? Tutto sembrerebbe chiaro. Resta il fatto che se nemmeno oggi riusciremo ha insinuare dei dubbi in chi crede che questo sia il migliore dei mondi possibili, probabilmente non ci riusciremo mai più.

Roberto Gramiccia
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