A quasi un anno e mezzo dalla sentenza (n.178/2015) della Consulta - che a luglio 2015 dichiarò l’incostituzionalità del blocco dei contratti del pubblico impiego, fermi al 2009 - non si riesce ancora a vedere una via d’uscita.
Due gli ostacoli che, allo stato, sembrano insormontabili: l’assoluta carenza di risorse stanziate dal governo in carica e l’obbligo di dare applicazione al d.lgs. 150/2009 (cosiddetto “decreto Brunetta”), che prevede l’azzeramento di una quota consistente di salario accessorio per un quarto dei dipendenti pubblici.
Quanto alle risorse, quelle per il rinnovo del ccnl del pubblico impiego da attingere dal Fondo per la pubblica amministrazione - presente nello schema di legge di bilancio 2017, illustrato con le solite slide dal premier Renzi lo scorso 30 ottobre - non superano i 700 milioni, comprensivi dei 300 stanziati lo scorso anno.
Infatti, se è vero, come è, che con il detto Fondo, ha una dotazione è di 1,92 miliardi, è altrettanto vero che dallo stesso Fondo si deve attingere per far fronte: alle assunzioni nella scuola; alla conferma del bonus da 80 euro per i dipendenti pubblici; alle nuove assunzioni nella pubblica amministrazione, anche attraverso processi di stabilizzazione e, soprattutto, alla copertura degli “oneri riflessi”, ovvero dei costi contributivi a seguito degli incrementi delle buste paga. Tale ultimo costo dovrebbe aggirarsi sui 450/480 milioni.
Per i rinnovi contrattuali, dunque, resterebbero risorse appena sufficienti per assicurare un aumento medio mensile lordo di circa 20 euro.
Di diverso avviso sul quantum necessario per il rinnovo dei contratti è stata, il 7 novembre scorso, la Corte dei Conti, nel corso dell’Audizione sul disegno di legge di bilancio 2017 del Presidente della stessa Corte, Arturo Martucci di Scarfizzi, presso le Commissioni bilancio riunite del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Infatti, a pagina 24 della Relazione del Presidente della Corte si legge: “… l’accordo quadro del 30 aprile 2009 sull’assetto delle relazioni sindacali nel pubblico impiego, sinora peraltro mai sperimentato, ipotizzava incrementi retributivi pari all’andamento stimato dell’inflazione nel periodo di riferimento, misurata attraverso l’indice Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato, ndr), depurato dal prezzo dei prodotti energetici importati, limitati alle sole componenti stipendiali della retribuzione. Applicando le predette regole, l’onere a regime dei rinnovi contrattuali risulterebbe di circa 1,7 miliardi”.