Ormai è certo. Per porre fine allo scandalo senza precedenti del blocco dei contratti del pubblico impiego – che persiste dal 2009, con un danno medio mensile di circa 400 euro per le buste paga dei circa 3 milioni di lavoratori del settore – è necessario il superamento di altri ostacoli, nonostante il 24 giugno del 2015 la Consulta abbia sentenziato l’incostituzionalità del medesimo blocco.
Dopo anni di flebili e inutili proteste dei sindacati confederali, il governo – che ha sottoscritto il 30 novembre scorso, nell’immediata vigilia del referendum costituzionale svoltosi il 4 dicembre, un accordo con i medesimi sindacati, privo purtroppo di effetti concreti e immediati – sta cercando ora di varare il cosiddetto decreto sul pubblico impiego, ritenuto conditio sine qua non per un possibile avvio della trattativa per il rinnovo contrattuale.
Tale decreto, salvo possibili differimenti, vedrebbe la luce entro la fine di febbraio prossimo e dovrebbe, innanzitutto, cancellare le tristemente famose “tre fasce” della riforma Brunetta (dlgs. 150/2009), che prevedono l’attribuzione al 25% dei dipendenti (i migliori) di ogni amministrazione della metà dei fondi di produttività; ad un altro 50%, dell’altra metà e nessun premio di produttività al restante 25% del personale.
Il decreto, che il governo si appresta a varare, da un lato, dopo aver cancellato in parte qua il decreto Brunetta, confermerebbe il divieto di erogazione a pioggia del fondo di produttività, dall’altro, demanderebbe ai contratti nazionali la fissazione delle modalità per la suddivisione, in base al merito, del medesimo fondo che, come noto, ha riflessi importanti sulla busta paga dei singoli lavoratori.
Inoltre, l’emanando decreto dovrebbe introdurre una nuova stretta sulle assenze per malattia e sui permessi e distacchi sindacali.
Una volta pubblicato in Gazzetta il predetto decreto legislativo, sottoscritto l’accordo sui permessi e distacchi sindacali, il campo sarebbe sgombro per l’avvio della trattativa per il rinnovo dei contratti nei quattro comparti (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e Ricerca, Sanità).
Ma c’è un aspetto che appare trascurato dagli addetti ai lavori e riguarda lo stanziamento delle risorse necessarie per la copertura finanziaria dei predetti contratti che riguarderanno il triennio 2016-2018.
Allo stato, infatti, neppure un centesimo è stato stanziato dal governo per l’anno 2018, per cui per colmare questa lacuna sarà necessario aspettare la prossima legge di stabilità, che il Parlamento dovrà varare alla fine dell’anno corrente e solo allora si potrà vedere se i miseri 85 euro lordi medi mensili (indicati nel predetto accordo del 30 novembre) saranno reali, in quanto aventi copertura finanziaria.