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Domenica, 05 Mag 2024

articoL’Artico, il Grande Nord celebrato da poeti e geografi, è l’ultimo spicchio di terra rimasto da scoprire, letteralmente. Questa scoperta si sta compiendo da diversi anni, da quando lo scioglimento dei ghiacciai sta liberando enormi porzioni di territorio che rendono la terra dei ghiacci non solo più facilmente navigabile, ma consentono ai mezzi dell’uomo di avventurarsi alla ricerca delle straordinarie risorse naturali che qui sono custodite. Risorse alimentari – grandi banchi di pesce – e soprattutto energetiche, visto che le stime ipotizzano che sotto il ghiaccio sempre più sottile dell’Artico siano custodite enormi riserve energetiche di petrolio e gas. Si dice addirittura il 25-30 % del totale.

Ma non c’è solo questo. Per capire la straordinaria importanza strategica dell’Artico bisogna osservare una mappa o un planisfero e notare come dal vertice del mondo si dipanino straordinarie vie che collegano gli Oceani diminuendo vertiginosamente le distanze fra mercati lontanissimi.

Questo scenario sottintende enormi complessità che la geografia simboleggia nel bacio che sembra si scambino l’estrema propaggine statunitense con quella russa, dove si incrociano i due passaggi, quello Nord Occidentale quello Nord Orientale, che danno accesso agli oceani. I due giganti della politica separati da un cerchio di ghiaccio, che non solo si sta sciogliendo, ma che custodisce anche enormi tesori. Per molto meno ci sono state grandi crisi, in passato.

Il risiko si è complicato da quando la Cina ha bussato alla porta della Russia mettendo a disposizione le sue straordinarie risorse, che sono finanziarie ma anche industriali e commerciali. Un altro pezzetto del puzzle che la Cina sta componendo con orientale pazienza per disegnare il nuovo volto della relazioni internazionali, e che proprio in questi giorni si è arricchita con l’incontro a Pechino voluto dal presidente cinese Xi con i rappresentati del 29 paesi che finora hanno aderito alla Belt initiative (vedi Crusoe numero 18),  che si è concluso con l’approvazione di un documento a favore del libero scambio e contro il protezionismo.

La collaborazione fra Russia e Cina nella partita dell’Artico è solo l’ennesima corrispondenza d’amorosi sensi fra i due paesi che sta sollevando crescenti preoccupazioni dall’altra parte dell’Artico e che ormai procede da un trentennio su vari fronti, a cominciare ovviamente da quello nel settore militare. Una partita complessa, nella quale la variabile recente dell’alleanza sino-russa si inserisce in quella del controllo strategico di una regione – l’Oceano Artico – che formalmente ricade sotto la giurisdizione dell’United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), ma sul quale, in pratica, si affaccia una parte importante della costa russa. Ciò conferisce di fatto un vantaggio territoriale, se non una supremazia, che fa della Russia il protagonista più attivo del Grande Risiko del Nord.

Map of the Arctic region showing the Northeast Passage the Northern Sea Route and Northwest Passage and bathymetry

Non è certo un caso che si stia articolando un’altra importante strada di collegamento, la Northern Sea Route (NSR) che collega via mare il Mare di Kara all’Oceano Pacifico. In questo modo, la Russia consoliderà il suo vantaggio strategico sull’area, ricevendo enormi benefici di tipo economico e commerciale, riducendo notevolmente la percorrenza fra l’Europa e Cina e i costi di trasporto fra il 30 e il 40%.

Proprio questa caratteristica ha sollevato l’attenzione della Cina, che ha evidentemente tutto l’interesse a usare vie di collegamento più efficienti per incrementare i suoi traffici fra Europa e Usa. La Russia dal canto suo ha tutto l’interesse a consolidare i rapporti con i cinesi.

Le cronache riportano di un incontro, avvenuto il 29 marzo scorso, fra pezzi grossi del governo cinese e delle grandi compagnie private del paese con i loro omologhi russi in una cittadina russa che affaccia sulla costa artica e che di recente è divenuta navigabile per tutto l’anno grazie ai progressi compiuti dalla tecnologia russa per spaccare il ghiaccio. L’incontro è servito a fare il punto sull’approfondimento del link fra i due paesi nella regione, che promette di essere promettente per entrambi.

Queste connessioni sono bene illustrate in un articolo pubblicato di recente dal Sipri che punta sulla variabile energetica – le riserve stimate di gas e petrolio custodite nell’Artico – per illustrare come la collaborazione sino-russa possa rivelarsi particolarmente vantaggiosa per entrambi i paesi in questa particolare declinazione dell’economia. La Russia ha tradizionalmente sviluppato le sue relazioni nel settore energetico con l’Europa, da sempre suo mercato di riferimento.

Ma ormai da diverso tempo l’Asia – e quindi la Cina – viene sempre più considerata come il partner strategico più interessante sia sul versante della collaborazione tecnica, sia come investitore su quello del mercato. Dai cinesi i russi possono trarre partnership e mercato di sbocco, e l’Artico, sul quale la Russia investe da un decennio in termini militari e infrastrutturali è un interessante laboratorio. Anche la Cina, infatti, da almeno un decennio, ha iniziato a puntare l’Artico, e di conseguenza alla collaborazione con la Russia. Essere presente sulle rotte artiche coincide con l’affermazione della presenza cinese in aree dove finora la stessa Cina non ha avuto influenza, un po’ come è successo con l’Africa.

A fronte di queste premesse, sia la Russia che la Cina devono tenere conto di complessità circostanziali che rischiano di diventare sostanziali nel processo di sviluppo dell’economia dell’Artico.

La Russia, ad esempio, è stata costretta dagli andamenti del mercato energetico a limitare gli sviluppi di esplorazioni nella penisola di Yamal, una propaggine nordica della Siberia nord-occidentale, perché già in eccesso di produzione a causa delle tensioni con l’Ue, che sta cercando sempre più di diversificare le fonti di approvvigionamento, e con l’Ucraina, la terza grande consumatrice di gas russo, ma soprattutto a causa dello sviluppo dello shale oil, la rivoluzione del petrolio alternativo di cui abbiamo raccontato nel numero 21 di Crusoe. Con i prezzi attuali, in sostanza, investire sull’Artico è poco profittevole e gli esperti calcolano che così continuerà ad essere finché il petrolio quoterà sotto i 100 dollari al barile. Oltre a questa difficoltà puramente economica ce n’è anche un’altra di tipo operativo. Le sanzioni decise dall’Ue e dagli Usa dopo l’annessione russa della Crimea hanno tagliato fuori Mosca dai trasferimenti di macchinari ed equipaggiamenti di ultima generazione.

In sostanza: la Russia sta subendo un embargo anche tecnologico che rischia di danneggiare il suo settore energetico. Il ban subito dalla Russia include anche le esplorazioni delle riserve di shale oil che si pensa siano custodite nell’Artico. Tutto ciò ha costretto le compagnie petrolifere occidentali, come Exxon Mobile o Statoil, a sospendere la collaborazione con le colleghe russe, il che, aggiungendosi al ban finanziario ha lasciato le compagnie russe in debito non solo di tecnologia ma anche di risorse per setacciare il Polo Nord. Ed è in questo scenario che arriva la Cina.

La Cina ha chiaro che la Russia, semplicemente per la sua posizione geografica, è uno dei grandi player del Grande gioco Artico e, quindi, ha tutto l’interesse a serrare le relazioni con Mosca se vuole espandere la sua influenza nella regione. E ha tutte le ragioni per farlo. La sua fame di energia, malgrado il calo di consumi registrato dopo l’esplodere della crisi, rimane elevatissima e le sue compagnie pubbliche (state-owned enterprises) sono alla costante ricerca di nuovi territori ad alto contenuto energetico. E poi, come abbiamo detto, c’è la vicenda commerciale. Per un paese che vive di commerci internazionali come la Cina, ogni nuova via di collegamento rappresenta un business potenziale che non può essere sottovalutato, e lo scioglimento dei ghiacci, da questo punto di vista, rappresenta una straordinaria opportunità. D’altronde la Cina, come abbiamo visto sul numero 18 di Crusoe, ha tutto l’interesse a costruire le sue nuove vie della seta e l’Artico potrebbe essere una di queste.

A questo punto è chiaro perché Cina e Russia hanno tutto l’interesse a collaborare nella regione. Rimane da vedere se siano stati fatti passi concreti e quali. Le cronache riportano di un incontro fra la compagnia petrolifera russa Rosneft e la China national petroleum corporation (CNPC) avvenuto fra febbraio e marzo del 2013 proprio per discutere, all’interno di un round di negoziazioni dedicato alle questioni petrolifere, di possibili cooperazioni per piattaforme petrolifere nei mari artici. In alcune zone si stimavano giacimenti capaci di pompare dai 3,9 ai 5,5 milioni di tonnellate di petrolio l’anno.

Nel 2014, il boss della Rosneft, Igor Sechin, confermò l’impegno a lavorare con i cinesi, essendo persino disposto a concedere una quote proprietaria del progetto. L’intenzione è stata ribadita anche nel 2015 dal vice ministro dell’energia russo, ma ancora non se ne è fatto nulla. Gli analisti ipotizzano che ci sia ancora una certa riluttanza dei cinesi, che forse chiedono condizioni più vantaggiose o un ruolo di gestione nei progetti artici. Però il dialogo è aperto. E uno dei campi dove molti ipotizzano si potrebbe sviluppare il ruolo della Cina, al di là di quello finanziario, è proprio quello tecnologico. Le sanzioni contro la Russia, che hanno privato il paese dell’accesso a molte nuove tecnologie, hanno lasciato il campo aperto alla Cina che infatti ha infittito la sua collaborazione con Mosca.

Nel settembre del 2015, ad esempio, la China Oilfield service limited (COSL) ha siglato un accordo con la Rosneft e la norvegese Statoil per realizzare due pozzi di esplorazione sul mare di Okhotsk, che ha condizioni tecniche simili a quelle della zona artica, e che ha inaugurato una collaborazione a tre che potrebbe trovare nell’Artico il luogo migliore dove esercitarsi.

Sul versante dei progetti petroliferi onshore – visto che quello offshore è ancora poco battuto – si segnala la visita del capo della Novatek, azienda russa attiva nella produzione di gas, del 2013 in Cina per discutere progetti di collaborazione nella penisola artica di Yamal. A settembre di quell’anno, fu siglato un contratto fra i russi e la CNPC che prevede la fornitura di tre tonnellate di gas liquido l’anno alla Cina, pari al 18% della capacità dell’impianto, che è stato approvato dal governo russo a gennaio del 2014 dopo la crisi ucraina. Intanto, il conflitto con l'Ucraina ha messo in crisi la Novatek – l’Ucraina era uno dei maggiori consumatori di gas russo – e così a settembre 2015, la società ha venduto a un fondo sovrano cinese, il fondo sovrano per la via della seta (vedi Crusoe numero 18) il 9,9% della quota della Yamal liquefied natural gas (LNG), società che gestisce il progetto sulla penisola, per oltre un miliardo di euro ricevendo inoltre un prestito da 730 milioni per 15 anni per finanziare il progetto di esplorazione a Yamal..

Per la cronaca, gli altri azionisti sono, oltre alla Novatek (50,1%) la cinese CNPC (20%) e la Total francese (20%). L’accordo ha conosciuto una ulteriore evoluzione nell’aprile 2016, quando la Yamal LNG ha siglato un accordo con la Export-Import Bank of China e la China Development Bank per facilitazioni creditizie per 15 anni per un ammontare totale di 9,3 miliardi di euro per finanziare il progetto. Non bisogna farsi ingannare però: le negoziazioni sono state complesse e più volte ritardate, segno che la partnership è ancora tutta da costruire. Epperò, è stata avviata e i cinesi ne hanno ricevuto già grandi benefici, visto che l’80% dei macchinari necessari per il progetto Yamal verrà realizzato in cantieri cinesi.

Il caso di Yamal finora è rimasto isolato. La cooperazione sino-russa, che ha tutte le caratteristiche per diventare strategica, non ha compiuto ulteriori progressi nell’Artico. I Russi sono ancora combattuti fra i loro bisogni – di soldi e tecnologia cinese – e il timore di cedere influenza ai cinesi. Questi ultimi, sempre più consci della loro forza, non sono disposti a concedere nulla che non serva a confermarla. Ma è chiaro che si tratta di contrasti tattici. La strategia gioca a favore di un accordo sistemico. Per quanto russi e cinesi possano non piacersi, il grosso della partita dell’Artico vede un terzo incomodo assai ingombrante che sempre sull’Artico si affaccia: gli Usa. Nel confronto generale per l’egemonia che sembra inaugurare questo inizio di secolo, malamente dissimulata da un multipolarismo di facciata, la partita dell’Artico sarà un ottimo pretesto per chiarire la reale consistenza delle linee di forza che governano il pianeta.

Come sempre, l’economia è solo un pretesto. La storia la scrivono i politici. A volte i generali.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

L’articolo è stato pubblicato anche sul n. 24 di Crusoe, newsletter in abbonamento prodotta da Slow News

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