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Sabato, 04 Mag 2024

Lo studio della Banca di Francia, riportato su Il Foglietto del 3 maggio scorso da Maurizio Sgroi, mette in evidenza la divaricazione nel mercato del lavoro dei paesi europei tra la popolazione giovane e quella anziana.

In molti paesi e certamente in Italia, tale divaricazione è iniziata, però, ben prima del 2008 con gli ingressi in età lavorativa dei nati negli anni precedenti, che avevano superato il milione di nascite a metà degli anni ’60 del boom economico (babyboomers) per poi ridursi a 577 mila nel 2008 (millennials). A tale componente demografica si è aggiunta, successivamente, una componente economica già a partire dai primi anni del nuovo secolo, e marcatamente a seguito delle crisi del 2009 e del 2011.

Dal 2000 al 2017, il saldo della popolazione in età 15-69 anni risulta ancora positivo con 1 milione di abitanti in più, come sintesi di una diminuzione di 3,6 milioni di quella in età 15-39 anni e di un aumento di 4,6 milioni della popolazione in età 40-69 anni.

I riflessi sulla popolazione occupata sono altrettanto evidenti: a fronte di un aumento complessivo degli occupati di 1,4 milioni, gli occupati in età 15-39 sono diminuiti di 3,7 milioni mentre quelli oltre i 40 anni sono aumentati di 5,1 milioni.

Con un modello statistico si possono stimare le variazioni del numero di occupati per ciascuna delle due componenti: demografica e economica, imputando all’effetto demografico la sola modifica della popolazione da un anno all’altro e all’effetto economico la sola modifica dei tassi di occupazione, ovvero delle quote di occupati sulla popolazione dell’anno.

In formula, rispetto all’anno precedente:

Variazione dell’occupazione = Variazione della componente demografica + Variazione della componente economica.

Alla componente economica sono, pertanto, ascritte le dinamiche tipiche dell’economia, di crisi e di crescita, quelle sociali, come i cambiamenti nei tassi di scolarità, e le politiche socio-economiche che hanno influenzato il mercato del lavoro. Tra le politiche più rilevanti in questo inizio di secolo, ricordiamo gli innalzamenti dell’età pensionabile, il blocco del turnover nella pubblica amministrazione, il programma Garanzia giovani, il Job-act e le decontribuzioni per i lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato.

In sintesi, la perdita di occupazione dei giovani dai 15 ai 39 anni, dal 2000 al 2017, può essere ascritta alla dinamica demografica per -2,2 milioni e alle conseguenze della crisi economica per -1,5 milioni di persone.

Al contrario, la crescita dell’occupazione anziana oltre i 40 anni, dal 2000 al 2017, può essere ascritta alla dinamica demografica per +2,7 milioni e alla componente economica per +2,4 milioni di persone.

Tali stime tengono peraltro conto dei dati relativi all’ultimo triennio, 2015-2017, durante il quale si è osservato un lieve miglioramento della componente economica dell’occupazione in età 15-39 (+311 mila), schiacciata ancora dalla dinamica negativa della componente demografica (-514 mila).

Gli effetti demografici ed economici sono stati favorevoli all’occupazione anziana già dal 2000. Per i più giovani, invece, l’effetto demografico è comparso a partire dal 2004 mentre l’effetto economico si è manifestato, nei suoi termini negativi, dal 2009 con l’inizio della crisi, ritrovando un leggero miglioramento, soltanto per questa componente, dal 2015 (vedi Grafico n. 1).

La bassissima crescita economica, l’allungamento della speranza di vita e l’innalzamento dell’età di pensionamento hanno favorito i lavoratori già presenti nel mercato del lavoro, lasciando pochissimo spazio all’ingresso di lavoratori nuovi.

Ancora oggi, la continua contrazione del numero di nascite, ridottesi addirittura del 19,6% dopo l’inizio della crisi del 2008 (dai già citati 577 mila nati nel 2008 ai 464 mila nel 2017), e il minor numero di occupati in età riproduttiva non fanno proprio sperare in periodi migliori.

Per quanto la recentissima fase di crescita economica sembrerebbe far recuperare alcune posizioni all’occupazione giovanile, la caduta del numero di nati aggiunge ulteriori preoccupazioni come la sostenibilità attuale e futura del rapporto lavoratori e pensionati o come la probabile contrazione delle professioni maggiormente legate al numero di bambini, dai ginecologi ai pediatri, dai produttori e dai commercianti di prodotti per l’infanzia agli insegnanti nelle scuole dell’infanzia e dell’obbligo.

Per contrastare le prospettive di declino, sono sempre più urgenti politiche per la crescita economica, attraverso forti investimenti pubblici e privati, e politiche attive per favorire l’occupazione giovanile e le nascite.

Corrado AbbateQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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