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Domenica, 14 Dic 2025

di Antonio Del Gatto

E’ ufficialmente partita la caccia degli ispettori del ministero del lavoro per stanare lavoratori impegnati in attività dipendente o di collaborazione a progetto, costretti però ad aprire la partita Iva, come se fossero collaboratori occasionali.

Per far “venire a galla” le finte partite Iva, che in realtà nascondono collaborazioni a progetto se non rapporti di lavoro subordinato, la riforma di cui alla legge n. 92/2012, con l’art. 1, comma 26, ha inserito nel decreto legislativo n. 276/2993, l’art. 69/bis, che prevede  una procedura avente la finalità di stroncare l’utilizzo improprio delle partite Iva «attraverso un meccanismo presuntivo di un diverso rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto a fronte di specifiche condizioni».

Con la circolare n. 32 del 27 dicembre scorso, il ministero del Lavoro ha impartito ai propri ispettori le istruzioni per andare a scovare dipendenti e collaboratori “travestiti” da lavoratori autonomi.

Lo scopo della disposizione legislativa è quello di evitare che il titolare di partita Iva, anche se firma un contratto di prestazione d’opera, sia in realtà alle dipendenze economiche del datore-committente, senza ricevere però le garanzie derivanti da un contratto subordinato.

Legittimati ad aprire la partita Iva, secondo l’articolo 35 del Dpr n. 633/72, sono coloro che  «intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte, professione nel territorio dello Stato o vi istituiscono una stabile organizzazione». Non è preclusa la possibilità per i soggetti le cui prestazioni lavorative rientrano nell’ambito della collaborazione coordinata e continuativa.

Ritornando alla circolare, la disposizione dettata dal citato articolo 69/bis  indica alcuni elementi che mettono in luce la presenza di una “monocommittenza”, rispetto alla quale un incarico di lavoro autonomo occasionale non è verosimile.

Prima della circolare, il ministero del Lavoro ha pubblicato il decreto ministeriale 20 dicembre 2012, con il quale ha evidenziato l’ambito di non applicazione della presunzione (articolo 69-bis, comma 1, del decreto legislativo 276/03) per quanto riguarda le partite Iva. La presunzione di rapporto di lavoro subordinato rappresenta la novità più importante in materia.
La presunzione non si applica per tutte quelle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine, a un collegio professionale o ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati, che sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una amministrazione pubblica (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) «nonché da federazioni sportive, in relazione ai quali l’iscrizione è subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento dell’attività». Non si applica, inoltre,  nel caso di competenze teoriche di grado elevato o capacità tecnico pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze; se il titolare di partita Iva ha un reddito annuo non inferiore ai 18.663 euro.
Perché la presunzione si manifesti, è necessario che la collaborazione con lo stesso committente sia di durata complessiva superiore agli otto mesi annui per due anni consecutivi; il corrispettivo della collaborazione costituisca più dell’80 per cento dei compensi annui percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi; il collaboratore abbia una postazione fissa presso una delle sedi del committente.
Se si verificano queste condizioni, si è in presenza di una collaborazione coordinata e continuativa e il rapporto di lavoro tra le due parti si trasforma o in un contratto di lavoro a progetto o in lavoro subordinato. In casi come questi, la collaborazione sarà soggetta alla disciplina sui contratti a progetto, comprese garanzie e aspetti contributivi.

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