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Lunedì, 29 Apr 2024

Il vento conosce il mio nome, di Isabel Allende – Giangiacomo Feltrinelli Editore – settembre 2023, pp. 318 – euro 22,00.

Dopo tanti anni di capolavori, spesso sostenuti anche da una attenta ricerca storica, pieni di energia, intrecci narrativi, talvolta di una suspence che non ti consente di abbandonare la lettura, Isabel Allende, in questa sua ultima opera, ad avviso di chi scrive, appare in tono minore.

O almeno, i temi con i quali si cimenta (la Shoah, l’immigrazione latino americana verso gli Usa e i femminicidi nel centro America) – tutti importanti e meritevoli di romanzi a sé stanti e profondi, come da consuetudine dell’autrice cilena – qui appaiono mescolati in modo bislacco, tanto da perdere di vista, o da non sottolineare a sufficienza il fil rouge che lega le storie dei protagonisti: il razzismo e come i bambini, che ne sono vittime, riescono a continuare a sognare, nonostante tutto quel che accade: lo sradicamento, la perdita degli affetti più cari, l’ostracismo.

Si parte dalla notte dei cristalli, il 10 novembre 1938, a Vienna, e dalla buona fede della comunità ebraica che ancora spera che i nazisti non applichino il loro scellerato programma. Protagonista il piccolo Samuel Adler, un bambino prodigio, eccelso violinista.

Ripercorriamo con lui le vicissitudini di quei pochi bimbi che trovarono rifugio in Inghilterra, dapprima accolti calorosamente e poi – man mano che la guerra con tutti le sue terribili conseguenze (distruzione e miseria) andava avanti – sempre più vissuti come un peso, accolti prima in famiglie e poi in istituti.

Fortunatamente, Samuel alla fine troverà ospitalità presso una coppia che lo accoglierà amorevolmente e che gli permetterà di seguire la sua vocazione per la musica, il suo porto sicuro, specie quando nel dopoguerra scoprirà che tutta la sua famiglia non c’è più, sterminata nei campi di concentramento.

La passione per la seconda arte, è tutto nella sua vita, gli altri appaiono quasi sfumati, lontani. Insomma, Samuel è capace di accendersi solo con la musica, vive per la ricerca musicale e proprio questa, la scoperta del jazz, lo condurrà ad incontrare, a New Orleans, Nadine Le Blanc, la donna della sua vita.

L’altra storia è quella di Leticia Cordero, una salvadoregna scampata per puro caso al massacro di El Mozote, realmente avvenuto l’11 dicembre 1981, quando il battaglione Atlacatl, un corpo scelto dell’esercito di El Salvador, addestrato dalla CIA, ispirato alle SS naziste e comandato dal colonnello Domingo Monterosa, fece irruzione nel piccolo villaggio, sterminando la popolazione, colpevole di aver sempre dato supporto ai guerriglieri del Fronte Farabundo Martin per la liberazione dalla dittatura.

Una strage che ricorda da vicino, per le sue dinamiche, quella nazista di Sant’Anna di Stazzema. Anche qui una donna e un bambino si salvarono e poterono testimoniare i fatti.

Leticia riusce a rifugiarsi con il proprio padre negli Usa. Dopo tanti anni e tante vicissitudini fiisce a lavorare in casa di Samuel.

Infine, l’ultima protagonista, un’altra bimba, Anita Diaz. Siamo ormai negli anni della presidenza Trump, quando, senza alcuna pietà, a chi tentava di entrare clandestinamente in America venivano tolti i figli minori e i genitori rispediti oltre confine.

Molti di quei bambini, specie i più piccoli, non hanno più ritrovato i propri genitori. Trump, si ricorderà, fece costruire un muro al confine con il Messico, un muro di cui oggi si torna a parlare e si stanziano risorse per prolungarlo, nonostante in carica alla Casa Bianca vi sia un presidente democratico, segno che il razzismo è trasversale perché porta voti.

Fortunatamente, ovunque nel mondo vi sono associazioni, uomini e donne che si battono strenuamente contro questo stato di cose, persone come Selena Duran che, appresa la storia della piccola Anita, la prende a cuore.

La bambina è cieca a seguito di un incidente ed è fuggita con la madre Marisol, che veniva perseguitata da un uomo che ha tentato di ucciderla. Purtroppo, alla frontiera le due vengono separate e di Marisol per molto tempo non si saprà più nulla, nonostante le ricerche di Selena e del giovane avvocato Frank Angileri che la assiste.

Anita, come il piccolo Samuel, vivrà lo shock della separazione dalla madre e dal suo mondo, catapultata in centri di prima accoglienza, istituti e famiglie affidatarie violente ma, fortunatamente, vive una sua realtà immaginaria, sogna di andare, con la sorellina morta nell’incidente in cui lei ha perso la vista, sulla stella Azabahar.

Sono proprio gli interi capitoli dedicati a questi viaggi immaginari, di cui solo alla fine se ne capirà il nesso, ad essere – sempre ad avviso di chi scrive – la parte debole dell’opera.

Come avviene spesso nei libri della Allende, le storie sono circolari (e qui ve n’è più di una), alla fine tutto si riconnette – ma qui ci vuole davvero troppo – Leticia si scopre essere la zia di Anita e viene nominata sua affidataria, in attesa di rintracciare la madre Marisol, ed entrambe, è tempo di pandemia e di lockdown, si ritroveranno a vivere con Samuel ormai anziano, che accoglierà come una figlia Anita.

In conclusione, un libro sulle sofferenze che gli accadimenti storici – dettati da razzismo, discriminazione e guerre – infliggono ai bambini spezzando le loro vite, staccandoli dai loro affetti, dal loro mondo.

Eventi che non sempre i piccoli riescono a metabolizzare se non sono capaci di mantenere dentro di sé un briciolo di immaginazione e di sogni.

Se invece la loro mente dovesse restare ferma a quegli eventi, se in loro dovesse maturare solo uno spirito di rivalsa e di vendetta, il futuro sarebbe ancora e sempre più lastricato di guerre.

Tutto ciò dovrebbe far riflettere quanti stanno alimentando le tante guerre in corso.

Adriana Spera
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