Con la sentenza n. 18965 del 2015, la Suprema Corte di Cassazione – sezione Lavoro – si è pronunciata in merito a un ricorso proposto da alcuni dipendenti di una amministrazione pubblica, in materia di corretta gestione del personale assegnato all’Ufficio stampa.
I ricorrenti chiedevano l’accertamento del loro diritto a ricoprire i posti dell’Ufficio stampa a far data dal 2001, previa eventuale riqualificazione professionale ai sensi della legge 150/2000, e di ottenere la condanna dell’ente di appartenenza al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata preposizione e dalla mancata riqualificazione professionale, nonché per ottenere, per il periodo 1998-2001, durante il quale erano stati gli unici addetti al preesistente Ufficio stampa e relazioni con il pubblico, la condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze retributive tra la qualifica posseduta e quella superiore rivendicata.
Risultati sconfitti sia in primo che in secondo grado, i dipendenti adivano la Corte di Cassazione che, con la citata sentenza, ribadiva il verdetto negativo.
Per gli Ermellini, infatti, la circostanza che l’amministrazione abbia ex lege la «facoltà» di confermare l’attribuzione delle funzioni di informazione al personale dei ruoli organici che già le svolgevano, non significa consentire all’ente una mera discrezionalità.
La normativa – secondo i giudici - va interpretata nel senso che se il dipendente non possiede i requisiti prescritti (iscrizione all’albo dei giornalisti), come personale confermato nell’esercizio di funzioni, può comunque ottenerne l’attribuzione se completa con risultati positivi il corso di formazione. Prima del corso formativo non esiste un diritto perfetto all’attribuzione delle funzioni ma soltanto a essere confermati nell’esercizio.