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Domenica, 16 Nov 2025

L’identificazione di nuovi approcci terapeutici per la leucemia mieloide acuta è il tema di un’importante ricerca svolta presso l’Università di Parma dal gruppo di Ematologia Traslazionale e Chemogenomica (THEC) diretto da Giovanni Roti, docente del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo e Direttore dell’Ematologia e Centro Trapianto di Midollo Osseo dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

I risultati dello studio sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature Communications e ha che ha come primo autore Matteo Marchesini, per anni ricercatore all’Università di Parma e ora all’Unità di Ematologia Traslazionale, Laboratorio di Bioscienze, dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” IRST di Meldola.

La ricerca, che ha avuto anche una fase clinica, è frutto di un lavoro pluriennale, avviato grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro a uno Start-Up grant guidato dal professor Roti. Il progetto era finalizzato a identificare nuovi approcci terapeutici per pazienti affetti da una forma di leucemia mieloide acuta (AML) caratterizzata da un’anomala attività del fattore trascrizione EVI1 (MECOM) e determinata da un riarrangiamento del cromosoma 3q26. Si tratta a oggi della forma più aggressiva di questa patologia, insensibile alle terapie attualmente disponibili.

Le ricercatrici e i ricercatori sono partiti da uno screening di farmaci ad ampio spettro, valutando oltre 5mila molecole su cellule leucemiche in coltura caratterizzata dal riarrangiamento del cromosoma 3q26. Hanno così trovato che la classe di inibitori delle deacetilasi istoniche (HDACi) erano i farmaci maggiormente in grado di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali. I farmaci sono stati quindi sperimentati in colture tridimensionali di cellule di midollo osseo generate all’IRST, a partire da campioni ottenuti da pazienti e da tessuti di topi con la stessa malattia. Al riguardo, un grazie particolare è stato rivolto per l’impegno profuso dall’Unità di Ematologia e Centro Trapianto di Midollo Osseo dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, oltre che dai collaboratori nazionali e internazionali dello studio, tra i quali l’Istituto di Ematologia e Centro di Ricerca Onco-Ematologica dell’Università di Perugia e l’Università del Texas, MD Anderson Cancer Center.

Per chiarire il meccanismo d’azione di questi farmaci, che sono peraltro già disponibili e sperimentati per sicurezza ed efficacia in altri contesti, ricercatrici e ricercatori hanno quindi identificato le proteine che interagiscono con EVI1. A questo scopo hanno utilizzato la spettrometria di massa applicata ad analisi “omiche” di espressione genica e di ChiP sequencing. Tra le proteine valutate ne è emersa una dal nome di proliferation-associated 2G4 (PA2G4), che sembra avere un ruolo chiave nella repressione di EVI1 mediata dai farmaci HDACi.

I risultati ottenuti offrono una base solida per lo studio di nuove combinazioni terapeutiche, o per lo sviluppo di nuovi farmaci, per questo sottogruppo di pazienti affetti da AML che a oggi non beneficiano di valide opzioni terapeutiche.

Negli anni, Giovanni Roti e Matteo Marchesini sono stati sostenuti, oltre che da AIRC, da fondazioni scientifiche nazionali e internazionali, come ad esempio il Translational Research Training in Hematology (TRTH), l’American Society of Hematology (ASH) e l’European Hematology Association (EHA), la Fondazione GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell'Adulto) e l’associazione Onlus Beat-Leukemia. Tutti questi enti hanno reso possibile la ricerca e la sua presentazione nei più prestigiosi congressi di ematologia nazionali e internazionali quali l’ASH e l’EHA meeting. Costante è stato l’impegno della Sezione di Parma dell’Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi, Mieloma (AIL), che ha sostenuto altre ricercatrici e ricercatori, in particolare Andrea Gherli ed Elisa Simoncini, coinvolti fortemente nel progetto.
 
La pubblicazione su ‘Nature Communications’ è un traguardo molto significativo – commenta Giovanni Roti – e rappresenta un successo della nostra comunità scientifica, in particolare di quella ematologica. Il lavoro negli anni ha permesso l’acquisizione di finanziamenti e presentazioni orali in congressi internazionali di settore, con un impatto più che considerevole. Il nostro ringraziamento va a tutte le persone che ci hanno lavorato e a tutte le persone e le realtà che ci hanno creduto, accordandoci la loro fiducia e concedendoci sostegno e finanziamenti. Non da ultime vanno ringraziate le persone affette da questa terribile malattia che hanno partecipato allo studio: senza il loro contributo non sarebbero a oggi disponibili queste nuove conoscenze, che possono avere importanti ricadute anche in chiave clinico-assistenziale”.

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