La risoluzione Onu del 28 luglio 2010 dichiara per la prima volta nella storia il diritto all'acqua: "un diritto umano universale e fondamentale".
La risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, più degli altri diritti umani, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita, è fondamentale per tutti gli altri diritti umani. Il diritto all'acqua risulta quale estensione del diritto alla vita affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Esso riflette l'imprescindibilità di questa risorsa relativamente alla vita umana. «È ormai tempo di considerare l'accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all'accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico - per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa - allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute.
Gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all'uso personale e domestico dell'acqua, al di sopra di ogni altro uso, e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questa quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno la possa raccogliere ad una distanza ragionevole dalla propria casa.
La sentenza del Tar del Lazio, con la quale è stato stabilito che un sindaco non può ordinare a un gestore di servizi idrici di riallacciare la fornitura d'acqua se il cliente si è rivelato moroso, affermando la liceità della sospensione del servizio senza tenere conto della situazione economica dell’utente, in accoglimento del ricorso di Acea Ato 5 contro il comune di Cassino, in provincia di Frosinone, stride contro la risoluzione Onu sul diritto all’acqua come bene comune.
Altro che estraneità di rapporti tra clienti e società fornitrice del servizio idrico, affermato nella sentenza del giudice amministrativo, che impedisce ad un sindaco di intervenire con l'ordinanza per vietare al gestore idrico l'interruzione della fornitura nei confronti di singoli utenti morosi, perché si realizza in questo caso uno "sviamento di potere" che vede il Comune, "estraneo ai rapporti gestore-utente"; né può impedire l'attuazione dei rimedi previsti dalla legge per interrompere la somministrazione di acqua a utenti morosi e "ciò a prescindere dall'imputabilità di siffatto inadempimento a ragioni di ordine sociale".
Adusbef e Federconsumatori, nel ribadire la liceità di un pubblico amministratore ad ordinare la fornitura di un servizio ‘bene comune’ come l’acqua ai cittadini, muovono pesanti critiche ad una sentenza che - in aperta sfida alla risoluzione Onu sul diritto all'acqua quale estensione del diritto alla vita, affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che riflette l'imprescindibilità di questa risorsa relativamente alla vita umana - svilisce al ruolo di ‘merce’ un bene pubblico essenziale per l’esistenza umana.
Presidente di Adusbef