In tempi di uova contaminate (pare che solo da noi, in Italia, ne siano state ritirate dal mercato ben 92mila), abbiamo pensato di analizzare le problematiche presenti nella filiera agroalimentare e il ruolo in essa svolto dalle mafie, quelle più aggiornate sui vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie e della finanza 3.0, nonché più lungimiranti nell’individuare nuovi campi di attività a bassa intensità espositiva, in cui correre rischi minimi e conseguire enormi guadagni.
Scorrendo le pagine di “Agromafie. 5° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia”, elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. pubblicato qualche tempo fa, ci siamo subito resi conto che tra questi “nuovi campi di attività”, vista la diffusa presenza del crimine organizzato, c’era solo l’imbarazzo della scelta. Abbiamo così deciso di iniziare il nostro” viaggio” dal comparto ittico, che comprende pesce e acquacoltura.
Il settore è in crisi da quasi vent’anni, essendo in tutto il mondo diminuita la produzione ittica, mentre cresce in ambito internazionale l’acquacoltura, che invece in Italia rimane stabile, in quanto ostacolata dalla complessità delle norme e dal peso della burocrazia. Da notare, comunque, che il calo complessivo della produzione avviene, nel nostro paese, mentre cresce il consumo di pesce, in conseguenza di uno stile diverso di alimentazione.
La tematica non si può affrontare senza premettere che, rispetto al passato, oggi i tempi sono cambiati, dato che i pesci, prima res nullius, sono diventati “beni comuni”. Ciò significa che l’attività di pesca non può essere più gestita in forma anarcoide, in quanto 40 anni di massimo sfruttamento del Mediterraneo hanno portato a un impressionante impoverimento delle risorse, che sono ora un patrimonio da gestire con regole comuni. Si è giunti così a un regime di controlli molto più stringente, attraverso un sistema europeo di tracciabilità dei prodotti che è uno dei più avanzati a livello mondiale. Sennonché le irregolarità, che prima avvenivano in mare, si sono ora spostate sul mercato, il vero core business dell’ittico. E’ qui che opera la malavita, prevalentemente fuori dalle aste, attraverso un rapporto diretto col produttore, al quale si forniscono prestiti per interventi sulla barca e aiuti economici nei periodi di scarsità di pescato.
Le conseguenze sono facilmente immaginabili: il produttore finisce, infatti, per dipendere sempre più dal commerciante, che ha interesse ad avere produttori privi di potere contrattuale e non liberi sul mercato. In tutto questo gioca un ruolo importante l’uso del denaro contante, che condiziona i produttori e invita all’evasione fiscale. Per altro verso, di particolare gravità risulta la pesca pirata, che determina nel contempo pericoli per gli equilibri ecologici marini e per la salute dei consumatori. Un fenomeno che si registra purtroppo anche nel Nord Italia, in particolare nei pressi del Delta del Po, dove, secondo gli inquirenti, sarebbero attive più di 20 bande criminali.
Esistono insomma vaste aree del paese in cui le irregolarità nel mercato imperano. Queste irregolarità si concentrano in tre ambiti principali del commercio: a) produzione tramite azioni scorrette; b) riciclaggio di denaro sporco; c) reati legati all’identità dei prodotti (falsificazioni e frodi). Al riguardo, gioca un ruolo importante la scarsa conoscenza dei consumatori relativamente ai prodotti ittici. Solo negli ultimi anni si sta cercando di recuperare con un ritorno alla “cultura del cibo”, favorito da trasmissioni televisive e rubriche di stampa, dalla ricerca di un cibo del territorio più vicino al consumatore, dalla predilezione esclusiva verso il pesce etico (= non vietato, non sotto taglia minima, non pescato in tempi vietati e con attrezzi a forte impatto, allevato nel rispetto del benessere animale, ecc). Se certi prodotti non vengono richiesti, il mercato non si attiverà per eludere le norme e spingere a frodi nella produzione. E’ cruciale perciò l’attività di informazione/ formazione del consumatore, per contrastare le irregolarità e le frodi messe in atto dalle mafie del mercato ittico.
Sostenere le produzioni tracciate ed etiche significa aiutare l’ambiente, perché – conclude il Rapporto – migliorare le condizioni economiche dei produttori significa ridurre la loro azione sull’habitat marino.
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