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Lunedì, 29 Apr 2024

Scrivo questo articolo molto lungo ad uso dei numerosi amici e amiche che amano gli alberi, l’ecologia dell’ambiente e che me lo hanno sollecitato. Le cose che riporto sono tra quelle più importanti (e non certo le sole) alla base dell’azione di GUFI, Gruppo Unitario per le Foreste Italiane.

Alla radice dell’alterazione del clima ad opera delle attività umane c’è la rottura dell’equilibrio tra emissioni di gas-serra in atmosfera e il loro assorbimento da parte del mondo vegetale. Le emissioni sono arrivate alle stelle mentre l’assorbimento è diminuito drasticamente. Parliamo della CO2 per la sua importanza per quantità emessa, oltre i limiti dei tolleranza dell’ecosistema globale, con le combustioni: dai motori termici dei mezzi di trasporto, dalle centrali termoelettriche, dal riscaldamento, dai camini delle industrie, dalle cucine...

Per il mondo vegetale parliamo qui “solo” degli alberi e delle foreste, diminuite seriamente nel mondo soprattutto nell’ultimo secolo e che assorbono circa il 30% della CO2 (un quarto è assorbita invece dai mari).

La COP 21 di Parigi nel 2015 si chiuse con l’accordo unanime sull'obiettivo di limitare ben al di sotto di 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo pari a 1,5 gradi. La scienza, infatti, ha avvertito che, se si superano i 2°C medi di temperatura, la situazione non solo diventerebbe irreversibile ma andrebbe fuori controllo e ci siamo molto vicino.

Attualmente, le misure di CO2 in atmosfera forniscono valori di circa 420 parti per milione, il 50% in più rispetto alla media nell’era preindustriale, quando era stabilmente a 280 ppm nel corso di oltre 6000 anni di storia precedenti.

L’ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione comparabile di CO2 è stata 3-5 milioni di anni fa, quando la temperatura media globale era 2-3°C più calda e il livello del mare era 10-20 metri più alto di adesso.

La recente COP 28, tenutasi a Dubai, ha ribadito l’intenzione (ma senza impegni seri, programmati e vincolanti) delle Nazioni del mondo di raggiungere la “neutralità” del bilancio delle emissioni di carbonio entro il 2050.

La conservazione e il ripristino delle foreste e il rispetto degli alberi dovrebbero essere strumenti chiave per raggiungere questo obiettivo e, allo stesso tempo, contribuire ad affrontare la crisi globale della biodiversità diminuita del 69% rispetto al 1970, anno in cui sono iniziate le osservazioni sullo stato delle specie viventi.

Non parliamo qui dell’uso della legna a livello della stufa o del caminetto domestico per riscaldarsi o per cuocere i cibi, da parte di chi peraltro attualmente non ha alternative, ma delle grandi utilizzazioni energetiche industriali.

Nel passato, i produttori di carta e dei prodotti in legno hanno generato elettricità e calore dai sottoprodotti degli scarti di lavorazione. Questo utilizzo non comportava un’ulteriore raccolta di legname. Negli ultimi anni, invece, si è assistito a una crescente pratica (sbagliata) volta ad abbattere alberi o ad estrarre grandi porzioni di legno forestale per la cosiddetta bioenergia, rilasciando in atmosfera carbonio che altrimenti rimarrebbe bloccato a terra nelle foreste.

Il risultato di questa sfrenata accelerazione nella raccolta di legname è un grande aumento immediato delle emissioni di carbonio, creando un “debito di carbonio” che aumenta nel tempo, man mano che vengono abbattuti sempre più alberi per continuare il consumo di energia da biomasse. Questa pratica trasforma gli alberi da nostri alleati come assorbitori di gas-serra in emettitori.

Questa pratica è fortemente incentivata dai sussidi governativi per la combustione della legna ed è la falsa la soluzione che si sta adottando per sostituire le reali riduzioni di carbonio di fonte fossile, con le biomasse. Le aziende in definitiva stanno spostandosi verso l’uso energetico del legno, cosa che aumenta il riscaldamento globale, e lo stesso avviane nel sociale invece di puntare sul risparmio ed efficientamento energetico generalizzato degli edifici e di passare alle energie effettivamente rinnovabili e pulite come il solare, l’eolico e le pompe di calore.

In alcuni luoghi, tra cui il Giappone e la Guyana francese, ci sono proposte che non si limitano alla “sola” combustione della legna per produrre elettricità ma puntano anche a bruciare olio di palma o di soia da impiegare anche come bio-carburanti per i mezzi di trasporto. La produzione di questi combustibili richiede l’espansione della coltivazione della palma o della soia e del mais che sta portando all’abbattimento delle foreste tropicali ad alta densità di carbonio e alla riduzione delle stesse come importante deposito di carbonio a terra, mentre vanno ad aggiungere CO2 all’atmosfera.

Gli “standard di sostenibilità” introdotti per la gestione delle foreste e per la produzione degli oli vegetali non risolvono per nulla gli effetti negativi delle combustioni per il clima globale. Attualmente, quasi il 60% di tutta l'energia ritenuta “rinnovabile” dall'Ue proviene dalla bioenergia, un termine “ombrello” sotto cui sono state messe tutte le fonti biologiche, come gli scarti agricoli, le colture per i biocarburanti ma, soprattutto, il legno proveniente dalla “gestione attiva” degli ecosistemi forestali.

Una parte importante del problema è rappresentata dalla Direttiva sulle energie rinnovabili (Red) del 2009, una normativa dell'Ue che classifica prodotti legnosi per la combustione come risorse rinnovabili e che indirizza i sussidi per chi le adotta per bruciarle. Da allora i prezzi delle varie fonti rinnovabili sono scesi ben al di sotto di quelli dei combustibili fossili e i profitti per i produttori sono saliti di 4 volte, grazie agli incentivi statali che in Italia sono prelevati alla fonte dal Gestore del Sistema Elettrico Nazionale, dalle bollette elettriche dei cittadini. Per ogni euro che le aziende energetiche incassano vendendo corrente elettrica prodotta da biomasse, ne ricevono 3,9 dallo Stato! Ovvero: chi produce 1 intasca quasi 5! Per la prima volta per il mercato capitalistico globalizzato gli alberi valgono così più da morti che da vivi!

La menzogna posta dai taglialegna e fiancheggiatori, tra cui qualche settore accademico, come foglia di fico a copertura della vergogna dell’albericidio e dello sterminio forestale in atto, è così riassumibile: «Tanta è la quantità del carbonio che l’albero fissa con la fotosintesi nel legno e tanta è la quantità di carbonio che sotto forma di CO2 può liberare quando quel legno viene bruciato. Quindi il bilancio del legno usato come combustibile è neutro, in pareggio! Non aggiunge gas-serra in atmosfera».

Questa autentica menzogna, suadente e apparentemente logica, è antiscientifica e nasconde verità fondamentali che telegraficamente elenco.

1) Per far quadrare i conti sulla presunta “neutralità” climatica del legno bruciato, il bilancio non include il grande consumo energetico che si verifica lungo la filiera del legno-combustibile: l’apertura di piste nelle foreste con macchine operatici, i consumi di combustibili per il taglio e la pezzatura dei tronchi e dei rami, per l’accatastamento, per l’esbosco, per il carico del legname sui camion con altre macchine operatici, per i trasporti generalmente a grandi distanze (anche con trasbordi dai camion su nave e con nuove necessità di scarico e carico su altri camion, come per il legno della Toscana che finisce nella centrale a biomasse del Mercure nel Pollino, in Calabria), per la necessaria riduzione dei tronchi e dei rami in cippato o pellet perché possa bruciare.

2) Quando la legna viene raccolta, generalmente, circa la metà del carbonio immagazzinato dagli alberi nel corso della loro della vita in foresta viene perso durante la raccolta e la lavorazione nel cantiere forestale e non arriva a poter essere bruciato per fornire energia: la sua degradazione in loco aggiunge nel tempo carbonio all’atmosfera, senza che questo sia andato neppure a sostituire i combustibili fossili.

3) Non viene considerato che la fissazione del carbonio nell’ecosistema forestale non avviene soltanto nel legno, ma anche nel fogliame, nella ramaglia ma anche nel suolo sotto forma di lettiera, di humus, e in misura imponente si trova nelle radici lasciate sottoterra, e una quota significativa della CO2 va in soluzione nell’umidità del sottosuolo, entra nel ciclo dell’acqua come acido carbonico che interagisce con le rocce e dà la mineralizzazione dell’acqua, rendendola idonea al consumo umano e per la vita animale e degli ecosistemi acquatici.

4) La legna da ardere è a basso potere calorifico e quindi inefficiente anche dal punto di vista del carbonio rispetto ai combustibili fossili che dovrebbe sostituire. Infatti, per produrre la stessa quantità di energia data dalle fonti fossili occorre tantissimo più legno bruciato, con la conseguente emissione di più carbonio dai camini. Complessivamente, per ogni kilowattora di calore o di energia elettrica prodotta usando legna come combustibile si aggiungerà da due a tre volte più carbonio nell’aria rispetto all’utilizzo di combustibili fossili.

5) Se si volesse produrre a livello mondiale solo un ulteriore 2% della propria energia dal legno, il suo prelievo dovrebbe raddoppiare. Esistono prove concrete di questo, registrate con un aumento della bioenergia a livello commerciale in Europa ove si è avuto un notevole aumento dei raccolti forestali.

6) Gli approcci bio-energetici creano anche un modello economico di neocolonialismo economico che incoraggia i paesi tropicali a tagliare una quota maggiore delle loro foreste, come in diversi si sono già avviati a fare, minando gli obiettivi degli accordi forestali accettati a livello globale.

7) Fatto più importante è che non viene considerato il fattore “tempo” perché una fonte energica possa dissi effettivamente ed utilmente rinnovabile. Quando viene ucciso un albero di 70 anni e parte di esso viene bruciato, la CO2 sarà emessa nell’arco delle poche ore, quanto dura la combustione, mentre resterà attiva nell’aria a contribuire alla crisi climatica per molti decenni o per alcuni secoli. Un alberello piantato come sostituto di quello bruciato impiegherà però almeno altri 70 anni prima che possa svolgere la stessa funzione di assorbimento di CO2 e possa svolgere il complesso delle funzioni sulla regolazione del ciclo dell’acqua, sulla detossificazione dell’aria, produzione di ossigeno, costruzione del suolo vivo e fertile, sempre che abbia le cure iniziali indispensabili perché il nuovo virgulto possa crescere e prosperare.

Quanto fin qui accennato riguarda solo la critica alla superstizione, autentica fake, della presunta neutralità carbonica e basta per dire un NO anche senza sollevare il fatto - cui siamo legati - che le foreste non sono riduttivamente serbatoi di legname da apprezzare per il legno e il carbonio che contiene, bensì ecosistemi, spazi di biodiversità, che stabilizzano i versanti dalle frane e dall’erosione dei suoli, proteggono dalle alluvioni, svolgono funzioni ecologiche vitali e producono una quantità di benefici ecosistemici favorendo le piogge, la regimazione delle acque, la bellezza del paesaggio, la promozione dello stato di salute.

Numerosi studi hanno dimostrato che la combustione del legno non solo aumenterà il riscaldamento globale e le sue conseguenze per decenni o per secoli ma anche che le emissioni connesse sono tra le più inquinanti, soprattutto per le polveri ultrasottili, responsabili di decine di migliaia di morti premature/anno. E ciò vale anche quando il legno sostituisce (come combustibile) il carbone, il petrolio o il gas naturale.

CONCLUSIONI

Occorre oggi più che mai rispettare il patrimonio forestale esistente, quello arboreo delle città, e promuoverne l’incremento. Va eliminata la pratica barbara del ceduo col taglio a raso e a turni ravvicinati dei nostri boschi e prendere atto che le biomasse forestali non sono risorsa energetica utilmente rinnovabile e, conseguentemente, togliere gli odiosi incentivi statali agli usi energetici industriali.

Non tutto ciò che contiene carbonio fissato con la fotosintesi può essere ritenuto “risorsa rinnovabile”: ne è la prova il fatto che anche il petrolio, il gas e il carbone sono prodotti dalla fotosintesi, ma nessuno si sognerebbe di dichiararli risorsa rinnovabile senza scadere nel ridicolo. L'unico carbonio rinnovabile e sostenibile è quello del legno da opera che, in sostituzione della plastica, resti allo stato solido nelle case, nei tetti, nei mobili, negli infissi, negli strumenti musicali....in sostituzione della plastica.

Richiamo che, contro l’uso energetico delle biomasse, l’11 febbraio 2021 è stata resa nota una petizione diretta ai grandi decisori politici del mondo, firmata da oltre 550 scienziati ed economisti da tutto il mondo: primo firmatario Peter Raven, Direttore emerito della Missouri Botanical Society, St. Louis, Missouri, USA, Vincitore della Medaglia Nazionale della Scienza degli Stati Uniti, ex presidente dell'American Association for Advancement of Science. Altre ne sono seguite arrivando complessivamente a oltre 1000 prese di posizione di scienziati. Ma i decisori politici erano distratti da altro e sceglievano di dare ascolto a ben altre sirene economiciste, affariste, riduzionistiche.

Giovanni Damiani
Presidente G.U.F.I. - Gruppo Unitario Foreste Italiane
Già Direttore di Anpa e già Direttore tecnico di Arta Abruzzo
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