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Sabato, 04 Mag 2024

dnaAnalizzando il DNA di circa 800 individui originari di venti province d’Italia e descrivendo i pattern di variabilità di più di 500.000 varianti genetiche distribuite lungo il loro genoma, un team di ricercatori – coordinato dal gruppo di Antropologia Molecolare e Adattamento Umano del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali (BiGeA) dell’Università di Bologna -è riuscito a individuare le tracce della complessa storia demografica e di adattamento all'ambiente degli italiani.

Da poco pubblicato su Scientific Reports, rivista satellite di Nature, “Lo studio – spiega Marco Sazzini, ricercatore del BiGeA – ha evidenziato l’elevata eterogeneità del patrimonio genetico delle popolazioni distribuite lungo la penisola. Inoltre, sebbene i profili genetici osservati varino progressivamente seguendo un gradiente nord-sud, è stato possibile individuare gruppi omogenei di province riconducibili rispettivamente alla Sardegna, all’Italia settentrionale e a quella meridionale, al cui interno gli abitanti sono molto simili tra di loro dal punto di vista genetico ma si differenziano rispetto a quelli degli altri gruppi”.

Questa distribuzione geografica di variabilità genetica è legata, almeno in parte, alla complessa rete di migrazioni che sin dalla prima colonizzazione del continente ha visto l’Italia fra i punti nevralgici delle rotte migratorie dei popoli europei. In particolare, i risultati della ricerca suggeriscono che le popolazioni dell’Italia settentrionale hanno scambiato i propri geni con gruppi arrivati dall’Europa centro-orientale fino alla fine dell’Età del Bronzo e all’inizio dell’espansione dell’Impero Romano.

Gli abitanti dell’Italia centrale e dell’Italia meridionale, invece, avrebbero ereditato anche componenti genetiche tipiche di Medio Oriente e Nord Africa. Un considerevole flusso migratorio da queste regioni del Mediterraneo, infatti, si sarebbe mantenuto in Italia centrale fino alle espansioni e contrazioni dell’Impero Bizantino, mentre più recente sarebbe stato l’influsso nordafricano riconducibile all’occupazione araba della Sicilia.

La storia genetica degli italiani, però, non è stata influenzata solamente dalle migrazioni. Il gruppo di ricerca dell’Alma Mater, infatti, ha anche indagato i meccanismi evolutivi e di adattamento all’ambiente delle popolazioni d’Italia, scoprendo che tali processi potrebbero aver contribuito a una loro diversa suscettibilità a determinate malattie.

L’evoluzione delle popolazioni dell’Italia settentrionale, ad esempio, è stata plasmata da pressioni ambientali simili a quelle sperimentate dai gruppi dell’Europa centro-settentrionale: in particolare un clima caratterizzato da inverni freddi ha portato all’adozione di una dieta con un elevato contenuto calorico e di grassi. La selezione naturale ha favorito così in queste popolazioni la diffusione di varianti genetiche in grado di modulare il metabolismo dei lipidi (soprattutto dei trigliceridi e del colesterolo) e la sensibilità delle cellule all’insulina, riducendo così il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete.

Al contrario, la mancanza di tali pressioni ambientali e il notevole contributo genetico ricevuto da altre popolazioni mediterranee hanno fatto sì che gli abitanti dell’Italia centro-meridionale mantenessero elevate frequenze delle varianti genetiche responsabili di una maggiore suscettibilità a queste malattie. “Queste varianti – aggiunge Sazzini – sarebbero risultate deleterie solo di recente, presumibilmente a partire dalla metà del secolo scorso, quando la dieta e lo stile di vita di queste popolazioni hanno iniziato a cambiare notevolmente”.

Oltre al clima e alla dieta c’è poi un altro fattore che ha indirizzato gli adattamenti genetici degli italiani, soprattutto in Sardegna e nell’Italia centro-meridionale: le malattie infettive. In Sardegna, ad esempio, la malaria sembra aver rappresentato una delle principali pressioni ambientali, mentre nell’Italia del Sud la selezione naturale ha potenziato le risposte infiammatorie contro i batteri responsabili di tubercolosi e lebbra. Questa aumentata protezione nei confronti di tali infezioni potrebbe però rappresentare una delle cause evolutive alla base di una maggiore suscettibilità a patologie infiammatorie dell’intestino quali ad esempio il morbo di Crohn.

Utilizzando un approccio di Medicina Evolutiva, lo studio è così riuscito a descrivere, per la prima volta, processi di “maladattamento” che espongono maggiormente alcune popolazioni italiane ai rischi connessi alle nuove sfide imposte al loro metabolismo e al loro sistema immunitario da recenti cambiamenti negli stili di vita e nella dieta.

La ricerca, condotta presso il Laboratorio di Antropologia Molecolare e il Centro di Biologia Genomica dell’Università di Bologna, ha visto impegnati numerosi ricercatori del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali fra cui Marco Sazzini, Guido Alberto Gnecchi Ruscone, Cristina Giuliani, Davide Pettener e Donata Luiselli, in collaborazione con Paolo Garagnani e Claudio Franceschi del Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale e Carlo Salvarani dell’Irccs Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

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