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Martedì, 07 Mag 2024

Nei giorni scorsi è stato pubblicato il 3° Rapporto annuale dell’Istituto Bertelsmann Stiftung Social Justice in the EU – Index Report 2016, curato da Daniel Schraad-Tischler e Christof Schiller.

Il Social Justice Index è un indice composto da 6 fattori misurati con numerosi indicatori qualitativi e quantitativi: prevenzione della povertà, equità dell’istruzione, accesso al mercato del lavoro, coesione sociale e non discriminazione, salute, giustizia intergenerazionale.

Il rapporto conferma il trend emerso nel 2015: la maggior parte dei Paesi ha registrato un piccolo miglioramento nell’indice di giustizia sociale (solo 4 Paesi hanno evidenziato un leggero peggioramento rispetto all’anno precedente). Tuttavia, quasi nessun paese dell’Unione Europea è riuscito a tornare ai livelli di benessere e giustizia sociale precedenti la crisi, fatta eccezione per Repubblica Ceca, Germania, Lussemburgo, Regno Unito e Polonia che mostrano un piccolo miglioramento rispetto al 2008.

I paesi in cui vi sono meno iniquità, ancora una volta risultano essere Svezia, Finlandia e Danimarca seguiti, a sorpresa, dalla Repubblica Ceca che, grazie alle azioni poste in essere per la tutela della salute e la prevenzione della povertà, ha guadagnato una posizione rispetto all’anno precedente. Seguono poi Olanda, Austria e Germania (che si distingue per la sua ottima performance nelle opportunità di accesso al mercato del lavoro). L'Italia si colloca in coda al 24esimo posto.

Gli stati che hanno risentito maggiormente gli effetti dalla crisi (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia, Irlanda) si trovano nelle posizioni più basse insieme a Romania, Bulgaria e Ungheria. Nonostante in essi si registri un piccolo incremento nell’indice di giustizia sociale, tutti gli indicatori analizzati presentano punteggi decisamente più bassi della media europea. L'Italia si colloca in coda al 24esimo posto.

Fattore di criticità comune a tutti i paesi Ue è quello del mercato del lavoro. Esso appare strutturalmente diviso e caratterizzato da un forte dualismo che vede, da un lato, i lavoratori atipici e precari privi di qualsiasi tutela e, dall’altro, i lavoratori assunti a tempo indeterminato e provvisti di tutele contro i principali rischi (malattia, infortunio, disoccupazione, pensionamento). Crescono ovunque dal 7% nel 2009 al 7,8% del 2015 i working poor (in Italia sono il 9,8%), ossia, coloro che, pur avendo un lavoro a tempo pieno, sono a rischio di povertà. Nessuno è riuscito a porre in essere politiche e servizi capaci di trasformare la crisi migratoria in un’opportunità di crescita economica e di inclusione.

Altro triste fattore unificante è la drammatica situazione in cui vivono le giovani generazioni. Quasi ovunque, sono aumentate le disuguaglianze e diminuite le pari opportunità e così cresce il numero di giovani a rischio di povertà o esclusione sociale rispetto al 2008 (da 26,4% a 26,9%); nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi (Spagna, Grecia, Portogallo e Italia) la quota di bambini e giovani in questa condizione è aumentata significativamente passando dal 29,1% del 2008 al 33,8% del 2015.

Viceversa, pur essendo diminuite le pensioni e i trasferimenti monetari destinati alla popolazione al di sopra dei 65 anni, per essa in media il rischio di povertà o esclusione sociale risulterebbe ridotto dal 23,3% del 2008 al 17,4% del 2015. In realtà, la diminuzione dei redditi di questa fascia di popolazione è stata solo meno precipitosa di quella della popolazione più giovane.

I giovani NEET, ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 che non lavorano e non studiano, sono in media il 17,3% (nel 2008 era il 15%. Una percentuale che registra grandi oscillazioni all'interno dell'Unione. In Italia, si registra il tasso più alto (31,1%).

Altro indice di diseguaglianza intergenerazionale sono gli allarmanti tassi di disoccupazione giovanile. In Spagna e Grecia, quasi la metà della popolazione giovanile è disoccupata (rispettivamente 49,8% e 48,3%). In Italia, nonostante la situazione sia leggermente migliorata rispetto all’anno scorso, il tasso di disoccupazione giovanile nel 2016 (40,3%) è quasi raddoppiato rispetto al 2008 (21,2%).

Cosa fare allora per far diminuire l'ingiustizia sociale? Per gli autori del Rapporto, innanzitutto, occorre ridurre la povertà infantile ed aumentare il livello di equità nell’educazione ponendo in essere azioni che neutralizzino il peso dello svantaggio socio-economico sul successo scolastico dei bambini migliorando ed implementando i servizi di istruzione a tempo pieno e la qualità dell’insegnamento nelle scuole primarie e secondarie in zone dove le famiglie residenti appartengono a gruppi a rischio.

Occorre poi porre attenzione sull’accesso al mercato del lavoro delle persone meno qualificate e dei giovani rafforzando i percorsi di orientamento professionale e presidiando il passaggio dalla formazione al mondo del lavoro.

I governi dovranno, inoltre, impegnarsi a ridurre il debito pubblico e a incrementare gli investimenti nella ricerca e nella green economy.

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