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Venerdì, 17 Mag 2024

Tanzania cartinaParlare di giacimenti di gas proprio mentre il mondo sembra molto più interessato alla grafite o al litio sembrerà ad alcuni poco rilevante. Rimane il fatto che il gas, come d’altronde il petrolio, è ancora, e continuerà a lungo ad esserlo, uno strumento fondamentale delle nostra quotidianità. Tanto più per noi europei, alle prese col difficile percorso di separazione dal gas russo, del quale per anni abbiamo goduto senza troppi rimorsi di coscienza.

Perciò l’Africa. E anzi: la Tanzania. Questo paese, assai più famoso per il Kilimangiaro, i suo splendidi parchi naturali e i suoi gorilla, ha scoperto da qualche anno di essere titolare di rilevanti giacimenti di gas offshore, che hanno spinto le autorità a varare un National Five-Year Development Plan che si propone di valorizzare questi tesori nascosti. Ovviamente tessendo per l’occorrenza partnership e quindi relazioni politiche.

Il Fondo monetario internazionale, che al tema ha dedicato un approfondimento qualche mese fa, ci ricorda che già dal 2004/05 la Tanzania ricavava piccole quantità di gas dai suoi giacimenti di Songo Songo e Mnazi Bay, che vengono utilizzate per produrre energia elettrica a scopi industriali della città di Dar es Salaam. Per lo più si produceva cemento.

La svolta è arrivata fra il 2010 e il 2015, quando al largo della costa sono state individuati 47,1 trilioni di piedi cubici di gas (oltre 13 trilioni di metri cubi) custoditi in alcuni blocchi sottomarini fuori dalla costa di Lindi e Mtwara. Shell Exploration and Production Tanzania LTD (Shell) ha fatto le sue scoperte nei blocchi 1 e 4 in collaborazione con Ophir e Pavilion. Equinor Tanzania AS (Equinor), con il suo partner ExxonMobil, ha lavorato sul blocco 2.

Adesso il piano è di commerciare, dopo averlo liquefatto, il gas estratto offshore, proseguendo le esplorazioni e costruendo gasdotti che colleghino le piattaforme alla terraferma. Si parla di investimenti che superano i 32 miliardi di dollari, più del 40 per cento del pil del paese. L’impianto di liquefazione dovrebbe avere una capacità di 15 milioni di di tonnellate l’anno (metric ton) con un arco di vita produttivo di almeno 30 anni. Il mercato di destinazione dovrebbe essere fra Asia ed Europa, lasciando quel che residua all’interno per le produzioni domestiche e le famiglie.

Con l’arrivo del nuovo presidente Hassan sono ripartiti i colloqui con il settore privato per lo sfruttamento di questi giacimenti e la commercializzazione del gas. Nel giugno del 2022, si è arrivati alla firma di un accordo che avrebbe dovuto preparare di un accordo complessivo atteso per quest’anno. Gli interventi preparatori sono molteplici, tuttavia, e difficilmente si arriverà prima del 2025 ad avere una decisione finale sull’investimento. La fase della costruzione dovrebbe durare almeno cinque anni. Quindi la previsione è di vedere crescere gli investimenti diretti esteri i Tanzania fra il 2026 e il 2030 e sviluppare almeno un trentennio di produzione ed esportazione fino al 2059.

Se tutto andrà come da programma, le conseguenze economiche della produzione e vendita del gas tanzaniano promettono di generare una piccola rivoluzione nel paese africano, che certo non si segnala per la sua prosperità, malgrado le ricchezze naturali (gas e oro). Le entrate fiscali che il progetto è capace di generare, se bene amministrate, possono essere una notevole occasione per questo stato, in larga parte agricolo e ancora ben distante dalle catene internazionali del valore a causa dei deficit annosi in capitale umano (malgrado il rapido aumento della popolazione) ed infrastrutturale.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
Twitter @maitre_a_panZer
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