di Rocco Tritto
Ad avere il magone a Palazzo Chigi non è il solo Silvio Berlusconi per le sue tristi e squallide vicende a luci rosse, ma anche alcuni dei suoi fedelissimi ministri-mirmilloni, per aver mancato clamorosamente gli obiettivi che si erano prefissati.
Tra questi spicca Renato Brunetta, titolare del dicastero della Pubblica Amministrazione e dell’Innovazione, fino a qualche anno fa più brevemente noto come Funzione Pubblica.
Dopo aver raggiunto una popolarità da superstar, accreditandosi in un Paese, a grossa componente qualunquista, come l’acchiappafannulloni, da qualche tempo sembra rientrato nell’anonimato, anche e soprattutto per il fallimento del suo “programma”.
Dopo più di due anni passati a Palazzo Vidoni, Brunetta di fannulloni sembra averne acchiappati davvero pochi o per niente, tant’è che si è visto costretto a inserire nello scellerato decreto legislativo 150/2009 una quota fissa di “fannulloni” (il 25% del personale in servizio), al quale deve essere comunque tolto il salario accessorio, facendo ricorso alla cosiddetta valutazione della performance. Una sorta di sgradevole quota nera, palese violazione della Carta Fondamentale.
La norma, se applicata, infliggerà un colpo mortale ai Tribunali, che verranno seppelliti da centinaia di migliaia di ricorsi.
Ma questo aspetto non interessa Brunetta, che resosi conto di essere finito in un pantano, pur di non ammettere di aver fallito la sua azione propagandistica, si è aggrappato qualche giorno fa ad un altro strumento: il decreto legislativo interpretativo del decreto legislativo.
La realtà è che il ministro sta per essere travolto da una macchina infernale. Che egli stesso ha generato.