di Adriana Spera
Lo studio dell’Esercito Usa sull’inquinamento in Campania, al quale Il Foglietto ha dedicato due articoli, è sintomatico della relazione esistente in Italia tra potere politico e mafie, dei condizionamenti che queste ultime pongono al legislatore ed ai governi locali. Condizionamenti che la malavita può imporre perché ormai, a livello nazionale, è divenuta detentrice di una parte notevole delle attività produttive del paese.
Una parte del Pil è riconducibile alle mafie, così come buona parte dell’evasione fiscale. Ciò non sarebbe possibile se non vi fosse un rapporto organico e talvolta trasversale con il potere politico, come riprovano le tante inchieste che vedono inquisiti per associazione mafiosa esponenti di partiti di maggioranza e di opposizione.
Uno stato dei fatti riconfermato tanto dalla fotografia del rapporto suddetto quanto dalle vicende relative alla “munnezza” di Napoli. La camorra reinveste i suoi proventi in imprese ubicate al nord. Ciò non sarebbe possibile senza l’assenso di talune amministrazioni locali, e forse è soprattutto per questo che si dice di no allo smaltimento temporaneo fuori regione.
Eppure molte delle sostanze che hanno generato un livello di inquinamento senza eguali dell’intero ecosistema campano sono arrivate e arrivano dal nord.La popolazione campana paga il conto due volte: allo Stato, che non la tutela, e alla camorra.
Dopo questo deflagrante rapporto Usa ci si aspetterebbe finalmente l’intervento delle Asl locali e dell’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente) affinchè monitorino lo stato di salute della popolazione e dell’ambiente.
Saremo degli inguaribili pessimisti ma pensiamo che tutto resterà come prima, nonostante l’incidenza eclatante di tumori e malformazioni neonatali, peraltro, già acclarate.