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Sabato, 01 Giu 2024

Dai principi costituzionali di uguaglianza (art.3) e imparzialità della pubblica amministrazione (art.97) scaturisce, come diretta e logica conseguenza, la regola dell’anonimato delle prove scritte nei pubblici concorsi, la quale esige che gli elaborati non contengano alcun segno di riconoscibilità, così da garantire che l’amministrazione operi le proprie valutazioni nel rispetto della par condicio dei candidati e senza subire condizionamenti di sorta.

Sennonché, al di là delle enunciazioni di principio, è agevole constatare come nella materia de qua la giurisprudenza amministrativa sembri far fatica a trovare soluzioni unitarie. Ed invero, in tema di violazione della predetta regola dell’anonimato, lungi dall’acquetarsi su una posizione ben definita, la summenzionata giurisprudenza continua a oscillare tra la necessità di dimostrare l’intenzione del concorrente di rendere riconoscibile il suo elaborato e la sufficienza dell’astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione.

In quest’ultima direzione si muove, da ultimo, la sentenza del Tar Veneto, 1 aprile 2014, n.445, per la quale, nel caso in cui il candidato abbia inserito nella busta contenente l’elaborato anche alcuni fogli della brutta copia recanti l’inserimento di espressioni aggiuntive consistenti nella dicitura, in capo ai medesimi fogli, “brutta copia”, la regola dell’anonimato deve intendersi senz’altro violata.

Per i giudici veneti, infatti, l’utilizzo delle suddette espressioni aggiuntive determina la  identificabilità della provenienza degli elaborati e, pertanto, giustifica la fondatezza giuridica del dubbio sulla non difficile riconoscibilità degli scritti, nonché la fondatezza giuridica della esclusione dal concorso.

Ma, come Il Foglietto ha avuto più volte [1-2-3] modo di ricordare, non tutti i giudici la pensano allo stesso modo, al punto che potremmo dire: “Regione che vai, giurisprudenza che trovi”.

Appena qualche mese fa, infatti, sulla questione si è pronunciato il Tar Sardegna (sez. II, sent. 691 del 8 novembre 2013), precisando che “Non può ritenersi violata la regola dell’anonimato delle prove scritte dei pubblici concorsi, nel caso in cui i segni contestati, riscontrati negli elaborati del candidato interessato, consistano: a) nel numero "1318" riportato a pag. 2 in alto della brutta copia; b) in una sorta di "chiocciola" nella prima pagina del compito relativo alla prova pratica; tali segni, infatti, non risultano connotati da profili di anomalia tale da poter mettere la Commissione o un suo componente in condizione di riconoscerne l'autore e, per questo, non sono configurabili come chiari segni di riconoscimento”.

Ancor più eclatante, soprattutto se paragonato alla censura in cui è incorsa l’espressione “brutta copia”, è apparso il caso esaminato dal Consiglio di Stato, il 17 gennaio scorso (sent. n. 202/2014) che, chiamato a pronunciarsi a seguito del ricorso di un candidato, non vincitore, che aveva ritenuto segno di riconoscibilità l’utilizzo del nome del celebre architetto, Paolo Portoghesi, in calce alla prova d’esame, ha definitivamente concluso nel senso che non è stata violata la regola dell’anonimato, dovendosi escludere l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il proprio elaborato e ciò in quanto “il nome di fantasia utilizzato, una sola volta, richiama quello di un celebre collega architetto, nell’ambito di una simulazione pratica di un atto tipico di quella professione”. Per di più, il collegio giudicante ha voluto precisare che il nome di fantasia (che poi corrisponde a un essere umano in carne ed ossa) sarebbe stato utilizzato una tantum. Si tratta di un rilievo di indecifrabile valenza giuridica.

A questo punto non ci resta che dare appuntamento ai nostri lettori per la prossima puntata.

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