E’ giusto licenziare il lavoratore che, assente per malattia, viene sorpreso a far pesca subacquea, trattandosi di un comportamento che può pregiudicare la ripresa dell’attività lavorativa.
Accogliendo il ricorso di un’azienda di trasporto pubblico la cui istanza era stata respinta in appello, lo ha stabilito la Corte di cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n.16465 del 5 agosto 2015.
Questi i fatti: l’uomo, al quale era stata riscontrata dal pronto soccorso una forte colica addominale, era stato assente dal lavoro dal 18 al 20 luglio. Il medico curante gli aveva poi prolungato il riposo fino al 26 luglio, ma proprio il 26 era stato “pizzicato” mentre svolgeva la predetta attività sportiva.
Per la Corte d’appello, tale “attività ludica” non avrebbe provocato conseguenze di sorta, poiché il lavoratore riprese alla scadenza della prognosi la sua attività in azienda.
Tale interpretazione è stata però considerata errata dalla Suprema Corte, secondo cui “il comportamento indisciplinato di cui qui si tratta, ossia lo svolgimento di attività extralavorativa in periodo di assenza dal lavoro per malattia, costituisce illecito di pericolo e non di danno. Questo sussiste, perciò, non soltanto quando quell’attività abbia effettivamente provocato un’impossibilità temporanea di ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia stata posta in pericolo, ossia quando il lavoratore si sia comportato in modo imprudente”.
Insomma, “non essendosi attenuta a questo criterio di giudizio, la Corte d’appello non ha valutato se la malattia addominale rappresentata dal lavoratore fosse prudentemente compatibile con la pesca subacquea”, valutazione alla quale dovrà ora provvedere il giudice di rinvio, essendo stata cassata la sentenza impugnata.
Est modus in rebus, diceva Orazio. Ognuno di noi dovrebbe sempre ricordarselo.