E’ un appello che non è esagerato definire accorato quello lanciato da alcuni economisti della Banca d’Italia e della Bce affinché l’emergenza sanitaria non finisca con l’impedire, oltre all’attività economica, anche un’altra attività vitale per l’economia: quella della raccolta dei dati.
Ai molti che reputeranno fin troppo esoterico questo argomento, vale la pena ricordare che i dati economici, e quindi le statistiche ufficiali, sono la costituente delle politiche economiche e, più in generale, del discorso pubblico che si costruisce intorno ad esse.
La stessa globalizzazione non avrebbe senso comune, se non fosse accompagnata da statistiche capaci di rappresentare in modo uniforme l’andamento degli aggregati che servono ai decisori per fare ciò che reputano sia necessario per portare avanti le proprie scelte.
Ne abbiamo parlato più volte, anche sottolineando le inevitabili distorsioni che tale pratica porta con sé. L’allarme sollevato dagli esperti, semmai, è una semplice conferma di come l’emergenza sanitaria abbia finito con l’insidiare le coordinate stessa della globalizzazione attuale.
Nel merito, gli autori dell’appello paventano “il rischio concreto di non cogliere i rapidi mutamenti in corso nelle nostre economie, proprio quando sarebbe più urgente tenerne traccia”. Ciò porta con sé che le decisioni di politica monetaria e fiscale risultino essere meno fondate, e con esse anche il processo di formazione dei prezzi. Ciò conducendo persino a “una diffusa mancanza di informazioni” che “è un’arma formidabile in mano a quanti mirino a lacerare il tessuto delle nostre democrazie”.
“In assenza di dati attendibili, – spiegano ancora – che ancorino il dibattito pubblico, prospera la disinformazione. Diventa più facile far circolare notizie non accurate su questioni rilevanti come i costi umani ed economici della pandemia, per esagerarne o minimizzarne gli effetti a seconda della convenienza del momento e di strategie di più lungo termine”.
A fronte di questi rischi, esistono alcune soluzioni consigliate. La prima, affidata agli enti statistici, punta sulla diffusione di informazioni “accompagnando più del solito gli utenti nell’interpretazione dei dati prodotti e disseminati”. “Gli utenti – scrivono – avranno
modo di tenere conto dell’inevitabile, ancorché temporanea, perdita di qualità dei dati.
Poi ci sono le banche centrali, che “dovrebbero fare la loro parte, ampliando la platea di utenti delle loro statistiche e diffondendo aggiornamenti più tempestivi sullo stato dell’economia”. E quindi ci sono “le aziende specializzate nella produzione di basi di
dati granulari su fenomeni economicamente rilevanti”.
Ma la vera novità, spiegano, dovrebbero essere “le grandi piattaforme tecnologiche (Big Tech) e le imprese di telecomunicazione. Due soli sistemi operativi, prodotti da Google e Apple, raccolgono dati da miliardi di dispositivi elettronici. Facebook ha almeno 2,4 miliardi di utenti attivi almeno una volta al mese”. Col che si certifica che queste entità sono potenti agenti della globalizzazione presente e soprattutto di quella futura.
Questa sorta di santa alleanza fra entità globali dovrebbe servire ”a disegnare una mappa attendibile”. “Non riuscirci – concludono – indebolirà la capacità di affrontare l’emergenza e l’efficacia dell’azione pubblica. In questo momento non ce lo possiamo permettere”. E probabilmente neanche dopo.
giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer