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Domenica, 19 Mag 2024

Uomini di parola di Fisher Stevens, con Al Pacino, Christopher Walken, Alan Arkin, Vanessa Ferlito, Julianna Margulies, Katheryn Winnick; durata 110’, nelle sale dall’11 luglio 2013, distribuito da Koch Media

Recensione di Luca Marchetti

Al Pacino, Christopher Walken e Alan Arkin. Tre magnifici attori tutti insieme in un solo film. E’ questo il motivo principale (e in fin dei conti, l’unico) per vedere un film come Uomini di parola (in originale Stand up guys).

La pellicola, diretta dal caratterista televisivo Fisher Stevens (premio Oscar per il documentario ecologista The Cove – La baia dove muoiono i delfini), è, infatti, un’opera crepuscolare che, appesantita da uno script confusionario, perde un'enorme occasione per dare sfogo alla follia senile e all’ottimo mestiere dei suoi tre grandissimi protagonisti. La trama è presto detta.

Val (Pacino), esce dal carcere dopo ventotto anni di detenzione. Ad accoglierlo ci sono i vecchi compari di una volta, il suo miglior amico Doc (Walken), diventato ormai un pensionato dedito alla pittura, e Hirsch (Arkin), asso del volante confinato in un ospizio. Per i tre, la prima notte di libertà di Val si trasformerà presto in un’odissea di avventure, sempre tallonati dall’implacabile rabbia di un ex boss, assetato di vendetta per un figlio morto in una rapina andata male.

Uomini di parola segue il vecchio procedimento del tutto in una notte, appoggiandosi su uno script (scritto dall’esordiente Noah Haidle) completamente basato su una serie illogica di eventi slegati l’uno dall’altro. Il lavoro cinematografico,  più che ricordare un’assurda discesa negli inferi (come avveniva nello splendido Fuori Orario di Martin Scorsese) si rivela presto uno stanco giochino di maniera, dove la bravura dei protagonisti è utilizzata in modo inconcludente, limitata da dialoghi banali e da vecchie gag degne dei peggiori cinepanettoni (tutte le scene ambientate nel bordello, ad esempio).

Eppure le possibilità di realizzare un prodotto di sostanza, un doveroso omaggio-revival sullo stile di quello fatto da Stallone per il cinema action nei suoi due I mercenari, era lì a portata di mano. Purtroppo il regista, forse per la sua scarsa esperienza (o per la mancanza di talento),  ha preferito puntare all’ordinario, mostrando più che vecchi guerrieri tornati a combattere, tre simpatici vecchietti in vacanza da una noiosa pensione.

Una simile scelta narrativa e programmatica è accettabile in un prodotto senza pretese come sarà il prossimo Last Vegas, dove divi in disarmo come Robert De Niro, Michael Douglas e Kevin Kline proveranno (e, presumibilmente, falliranno) a ricreare un senile Una notte da Leoni.

Quando però si hanno interpreti del livello di Alan Arkin (reduce dalla magnifica performance in Argo), di Christopher Walken e di Al Pacino (immenso come sempre, specie se accompagnato dalla voce di Giancarlo Giannini) è normale aspettarsi altri risultati artistici e altre riflessioni cinematografiche.

In questo caso, invece, tutto è gettato alla rinfusa e, soprattutto nel finale, preso a forza da un qualsiasi film di Van Damme o Steven Seagal, lo spazio filmico è occupato più dall’invadente canzone originale di Bon Jovi che dalle interpretazioni dei protagonisti in scena.

Tutto questo discorso sembra essere una scusa per non ammettere che anche per i più grandi e per i miti personali arriva il momento di mettersi da parte, anche perché non ci sono più pellicole come Il cacciatore e Il padrino all’orizzonte.  Forse.

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