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Lunedì, 10 Nov 2025

Sono postumo di me stesso. Potere, Vaticano, donne, inferno e paradiso negli aforismi di Giulio Andreotti, a cura di Massimo Franco, Editore Mondadori, Milano, 2013, pp. 110, euro 10.

Recensione di Roberto Tomei

Ormai fa caldo e mi sembra opportuno segnalare un libro per le vacanze, da sano relax, buono sia per il mare che per la montagna. Di quelli, insomma, che si possono tranquillamente lasciare e riprendere a piacimento, senza conseguenze di sorta per il lettore.

E’ questa, infatti, la caratteristica tipica di tutti i libri di aforismi, espressione suprema del pensiero breve ma fulminante. Quello che si segnala è il libro degli aforismi di Giulio Andreotti, il politico che più di ogni altro è stato l’emblema della Prima Repubblica. Il curatore, Massimo Franco, notista politico e inviato del Corriere della sera, li ha raccolti suddividendoli per gruppi tematici. Alcuni di essi sono talmente noti da essere ormai entrati nell’uso comune, essendosi quasi trasformati in proverbi. Pensiamo, ad es., al famoso “il potere logora chi non ce l’ha”. Altri non sono così noti, ma risultano comunque non meno brillanti ed efficaci. Tra questi, quello che mi ha colpito di più testualmente recita: “il potere è non avere un capufficio”.

Se Orazio predicava il culto dell’aurea mediocritas, Andreotti si può considerare l’alfiere dell’aurea medietas, convinto com’è che “siamo tutti medi peccatori”, compreso lui, che si definisce di statura media, però con la coscienza “di non vivere tra giganti”. Sempre in questa medietas rientra la scelta di non dire bugie, ma soltanto “verità parziali”. E si potrebbe continuare così a lungo, ma non mi sembra giusto insistere a riportare gli aforismi del divo Giulio, perché voglio lasciare al lettore la sorpresa e il gusto di assaporarli da solo.

Andreotti non è stato un profeta politico, come De Gasperi, suo maestro e anima della ricostruzione postbellica, né un grande ideologo, come Moro, l’ideologo del compromesso storico. La sua era una filosofia spicciola, con uno spiccato senso della relatività della morale, dalla quale traspare una profonda conoscenza degli uomini, quanto meno degli italiani, che Andreotti stesso ha contribuito non poco a forgiare, per come sono stati e ancora sono.

Certo, vedendo come vanno oggi le cose, sono in tanti (in Italia ma anche in Vaticano, di cui era “cardinale esterno”) a provare addirittura un certo rimpianto per Andreotti. Se non altro perché le cose lui non solo le sapeva, ma le sapeva pure raccontare. (Roberto Tomei)

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