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Domenica, 19 Mag 2024

Anni Felici, di Daniele Luchetti, con Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Martina Gedeck, Samuel Garofalo, Niccolò Calvagna; durata 100’ nelle sale dal 3 ottobre 2013, distribuito da 01 Distribution

Recensione di Luca Marchetti

Daniele Luchetti è uno degli autori più importanti e, allo stesso tempo, sottovalutati del nostro Cinema. Il regista romano, infatti, eccetto alcuni piccoli passi falsi (il giovanilistico e inoffensivo Dillo con parole mie) ha sempre affrontato, con opere interessanti e attente, il malessere della società italiana, senza scadere nel consolatorio o nel semplicistico. Di questa sensibilità è un esempio Il portaborse, pellicola del 1991, in cui Luchetti, aiutato dalla magnifica interpretazione di Nanni Moretti (nei panni del politico spregiudicato), parlava di un’Italia figlia degli anni ottanta, pronta, una volta persa la propria innocenza, a entrare con cinismo e disperazione nel nuovo millennio.

Da quel film sono passati circa vent’anni e oggi il regista romano non ha perso occasione di continuare a parlare di noi e della nostra storia. Con l’ultimo Anni Felici, infatti, Luchetti chiude la sua ideale trilogia sul cuore dell’Italia, che già aveva visto due importanti episodi come gli acclamati Mio fratello è figlio unico e La nostra vita.

Se il primo film, tratto molto liberamente dal meraviglioso Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi, è l’epopea sanguigna di una famiglia di periferia, dove, nel pieno degli anni di piombo, gli affetti fraterni si scontrano con le passioni politiche partigiane (riferimento non tanto velato alla guerra civile), il secondo, ambientato ai giorni nostri, è invece la favola disperata di un giovane uomo costretto a tutto per dare un futuro ai propri figli, in un paese allo sbando. Entrambe interpretate da un ottimo Elio Germano (che grazie proprio a Luchetti ha ottenuto definitiva affermazione artistica), le due pellicole si dimostravano sia un convincente spaccato di un’epoca che un discorso sentito sui sentimenti umani.

In Anni Felici, invece, pur operando in un contesto di veridicità storica addirittura autobiografica (la pellicola dovrebbe trattare la storia d’amore disfunzionale tra i genitori del regista), Luchetti sceglie di mettere da parte il discorso puramente storico (il film è ambientato in un idilliaco 1974 pre-terrorismo) per concentrarsi sul racconto di un amore assoluto.

Se lo si considera un melò, il film tocca alcune delle punte più intense e commoventi del nostro cinema italiano, molto vicine per forza al miglior cinema indipendente americano.

In quest’ottica sentimentalistica, l’interpretazione dei due protagonisti è fondamentale. Micaela Ramazzotti, dopo l’affermazione con La prima cosa bella, torna con un ruolo femminile magnifico, in cui mette tutto il suo istinto e la sua forza animalesca. L’evoluzione morale della sua Serena, da semplice moglie-ombra a donna consapevole del proprio eros, è la spina dorsale del film.

Dall’altro lato, anche Kim Rossi Stuart fa il suo dovere. La sua performance, in modo semplicistico, potrebbe essere liquidata come sopra le righe, fastidiosa o addirittura rovinosamente sbagliata. Eppure questo suo padre stupidamente infantile, questo suo uomo dalle grandi ambizioni artistiche, costretto alla fine ad accettare la propria inadeguatezza sia come artista sia come uomo, è di una sincerità disarmante e rimane dentro anche dopo la visione del film.

E’, dunque, l'alchimia sullo schermo di questi interpreti, il loro rapporto assoluto (le parole finali di Amore che vieni, amore che vai sono la sintesi perfetta) a dare una marcia in più al film.

Il limite enorme della pellicola, purtroppo, è la sua anima autobiografica. Luchetti, sin dalla decisione di entrare in prima persona nel film con un invadente e insopportabile voice-over, ingabbia Anni Felici in una prigione che non merita.

La scelta di vedere attraverso gli occhi dei due giovanissimi protagonisti fa perdere forza alla storia principale e, in diverse occasioni, arriva anche ad allontanare lo spettatore.

E’ comprensibile che il regista, parlando di un pezzo della propria storia personale, consideri questa materia narrativa troppo importante per sé da volerla regalare totalmente al proprio pubblico, ma proprio la sua ingombrante presenza impedisce ad Anni Felici di spiccare il volo e di essere il grande film che poteva essere.  



 

 

 

 

 

 

 

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