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Domenica, 19 Mag 2024

Ormai scettici nei riguardi della politica, perplessi persino nei confronti del gioco del calcio, sono comunque ancora molti quelli che continuano a nutrire fiducia nella scienza.

E ci mancherebbe altro, direte voi. Mica tanto, risponderebbe probabilmente Enrico Bucci, autore di un recente, interessante volume sulla frode nella ricerca scientifica, intitolato “Cattivi scienziati” (Add editore, euro 14), prefato da Elena Cattaneo. Dove si dimostra, appunto, che imbrogli e imbroglioni non mancano nemmeno nel campo della ricerca, ma che questa ha in sé gli anticorpi per sconfiggerli.

Innanzitutto, una premessa: errori nella ricerca possono farsene e se ne fanno; ma questi restano tali se commessi in buona fede o dovuti a conoscenze imperfette. Altra cosa è la frode, che “comporta la falsificazione di una procedura sperimentale e la successiva pubblicazione scientifica. L’alterazione commessa dal ricercatore non sta quindi tanto, o non solo, nell’enunciare una tesi falsa, quanto nel raccontare falsamente di aver condotto un certo esperimento e di aver osservato certi fatti”.

Come per ogni altro comportamento criminale, anche nella ricerca la spinta a commettere le frodi va individuata nella volontà dei singoli di soddisfare il proprio personale interesse. Solitamente,  questo coincide col conseguimento di una cattedra, per uno studioso il sogno che si realizza. Capita anche, però, che “molti di quelli che commettono frode scientifica sono preda delle pressioni emotive che portano a desiderare non una semplice posizione accademica, ma una carriera da superstar della Scienza. Spinti da una fortissima ambizione, vogliono perseguire l’eccellenza tramite la frode scientifica, senza accontentarsi di pubblicare tanti lavori su oscure riviste settoriali: vogliono pubblicare su  riviste scientifiche di primo livello. In breve: perseguire la qualità, non (solo) la quantità. Anche in questa strategia abbondano i maestri”.

Del resto, si sa che il mondo della ricerca scientifica è altamente competitivo, regolato com’è dal principio del publish or perish (pubblica o muori). Chi pubblica di più viene premiato, come in televisione, anche se “il numero di spettatori di un certo spettacolo non è indice della sua qualità, ma solo della sua popolarità”.

Alla base delle frodi, dunque, oltre alle motivazioni personali c’è anche un sistema parzialmente corruttivo, fatto di un mix di incentivi e pressioni nei confronti dei ricercatori. Un sistema che non garantisce la qualità, visto che nemmeno la tanto celebrata peer review “pare in grado di giudicare la bontà dei lavori scientifici né tantomeno di garantirne l’integrità”.

Purtroppo, al di là delle modalità in cui le frodi si manifestano, queste costituiscono un fenomeno in progressiva crescita, anche se di non facile quantificazione, e che va ad alimentare quella che l’autore definisce “un’economia criminale”, che finisce per minare sia la fiducia tra i ricercatori che la fiducia dei cittadini verso la ricerca.

Dopo tante fatiche da parte degli scienziati, la perdita della loro credibilità presso l’opinione pubblica è un esito che va assolutamente scongiurato o quanto meno arginato. Per fortuna, sta già emergendo, a livello globale, un nuovo sistema immunitario, costituito da una comunità sempre più numerosa di ricercatori che cerca di trovare metodi  utili a scovare contraffazioni e manipolazioni, ma è bene che si faccia strada la consapevolezza che deve diventare, questo, un compito di tutti. Solo così riusciremo a tutelare il valore della Scienza.

Giustamente sbilanciato sulla pars destruens della  triste problematica, il libro ne contiene, dunque, anche una construens, lasciandoci la speranza, più che fondata, che si stanno già approntando adeguati antidoti a questa singolare forma di malaffare.

Per completezza, vogliamo ricordare che l’autore, severo indagatore della correttezza della scienza italiana, è anche presenza viva e operante sul campo, dai suoi esposti essendo partite indagini della magistratura su un caso - finito anche sulla prestigiosa rivista Nature - emerso all’università Federico II di Napoli, l’ultimo di altri dei quali la magistratura stessa si è di recente occupata. Una spiacevole situazione che sta facendo chiedere da più parti l’adozione di un “codice deontologico nazionale per la ricerca”.

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